Cari giovani, al bando la rassegnazione: «Se non siete il presente, non sarete il futuro», scandisce il cardinale Angelo Scola. Certo: «È la prima volta che le nuove generazioni sono messe peggio di quelle precedenti». Ed entrare nel mondo del lavoro è sempre più difficile. «Ma gli anni dell’euforia della 'Milano da bere' ci hanno fatto dimenticare che il primo motivo per cui una persona lavora è sostentarsi e sostentare la propria famiglia. Non è l’autorealizzazione, che può venire o non venire. Il primo motivo è l’esperienza elementare della dimensione di socialità che è contenuta nel lavoro, il quale dev’essere così dignitoso da trasformare il bisogno nel desiderio, perché la caratteristica dell’uomo – spiega l’arcivescovo riprendendo una riflessione a lui cara – non è la pura risposta al bisogno, ma la dilatazione del bisogno nel desiderio».
Istituto dei Ciechi, via Vivaio. È gremita, Sala Barozzi. Più di trecento i giornalisti che per la festa del loro patrono, san Francesco di Sales, hanno accolto l’invito della diocesi a partecipare al «dialogo» con Scola sul tema Nuove generazioni, comunicazione, futuro.
Al tavolo dei relatori, con l’arcivescovo, il direttore del Tg de La7, Enrico Mentana, e il responsabile dell’Ufficio diocesano comunicazioni sociali, don Davide Milani. Ad aprire l’incontro il demografo della Cattolica Alessandro Rosina cui spetta di presentare i dati del Rapporto giovani dell’Istituto Toniolo sul tema giovani-comunicazione (si veda sotto), che dicono come i nostri figli abbiano grande familiarità con i new e i social media, ma anche distanza critica e disincanto.
«La franchezza con cui i giovani si esprimono nella rete è un segno di libertà – commenta Scola –. E in una fase storica di transizione come la nostra, la libertà resta la questione numero uno. Nell’approdo alla postmodernità, è stata ridotta a pura libertà di scelta, sganciata da ogni principio di bene e male. E le libertà tanto conclamate sono assai spesso poco realizzate ». I giovani, con la loro «sete di senso », la loro «sana inquietudine», sono una «grande risorsa» per rinnovare «la stanca Europa». Ma c’è bisogno di adulti consapevoli della loro responsabilità educativa. «I valori? Sono effettivi se ne faccio esperienza. Nella realtà. Altrimenti restano parole morte che il potere di turno strumentalizza ». Ed ecco Scola citare il filosofo Gilles Deleuze: «Educa non chi dice fa’ così, ma chi dice fa’ con me così ». In questo scenario l’associazionismo giovanile («nei partiti s’è perso, nella Chiesa è ancora vivo») ha un ruolo decisivo. Se «non ideologico», capace di strutturare «reti di solidarietà», di «assumere il tema del senso», può aiutare i giovani «ad appropriarsi del loro futuro».
Il primo passo? Essere «il presente».
In una «società plurale, dove si confrontano mondovisioni diverse» ed è sempre più urgente «l’ascolto di fecondazione». Ma come rifondare la speranza in una realtà dove crescono drammaticamente i Neet ( not in education, employment or training : i giovani che né studiano né lavorano)? «La speranza nasce da un’esperienza di gioia. Il volto dell’altro è la sua via – risponde Scola invitando i giovani a scoprire il pensiero di Emmanuel Lévinas –. Lo spazio dato all’altro – a partire dall’Altro, con la maiuscola – è l’origia ne della speranza».
Il dialogo con Mentana e i giornalisti tocca via via altre questioni. Come la sfida che interpella e provoca il mondo dell’informazione: «Rendere la realtà così com’è, in modo da lasciarsi interpellare e riproporla nella sua verità – chiede Scola –. Bisogna avere la sagacia di tendere al vero e non fermarsi al verosimile». Interrogato da un tweet, l’arcivescovo riconosce «la difficoltà dei cristiani a far emergere la bellezza e la verità dell’incontro con Cristo». Ciò accade quando «le comunità cristiane si chiamano fuori dalla realtà». Perciò è stato importante il Vaticano II, spiega Scola. «È necessario un nuovo Concilio?» incalza Mentana. «L’esigenza dell’approfondimento che lei pone è giusta – risponde l’arcivescovo – ma per soddisfarla basta attuare compiutamente il Vaticano II, in particolare per quello che i documenti conciliari – si pensi alla Dignitatis Humanae e alla Nostra aetate – hanno detto sulla libertà religiosa e di coscienza, la dignità umana, il dialogo con l’ebraismo e le altre fedi».