Dai social alla piazza, ossia l’arte del comunicare, è il titolo dalla riflessione dell’arcivescovo Metropolita di Campobasso – Boiano e giornalista, Mons. GianCarlo Bregantini. Il messaggio del vescovo è dedicato al mondo dell’informazione, in occasione della festa di san Francesco di Sales (24 gennaio). La riflessione interpreta e racchiude l’input di Papa Francesco sul tema per la 53^ Giornata Mondiale delle Comunicazioni Sociali che, quest’anno, si celebra, il 2 giugno 2019. «Dalle community alle comunità» per esprimere il desiderio di fare comunità tra la rete digitale e la rete umana. Operare nel campo della comunicazione osservando la buona pratica della condivisione per mezzo dei social media ma anche coltivando le relazioni tra le persone. L’informazione come opportunità di bene, di speranza e di riconciliazione e non ostilità e contrapposizioni. Dai social alla piazza, perciò, per stare in contatto con gli altri, curare le relazioni, condividere progetti. Per un‘etica del linguaggio e rafforzare il servizio della persona, per promuovere messaggi educativi e far «crescere nel mondo la Pace». Ecco il testo del messaggio.
«Siamo membra gli uni degli altri” (Ef 4,25). Dalle community alle comunità»
«Questo il tema che Papa Francesco ha scelto per la 53a Giornata Mondiale delle Comunicazioni Sociali di quest’anno. Interessante e provocatorio nell’era del digitale. In fondo il Papa ci vuol dire che bisogna vivere questo passaggio fondamentale: dalla piazza virtuale a quella reale della propria città. Solo così la società non perderà il suo volto umano.
“Dal cuore alle mani”, è sempre stato lo slogan del patrono dei giornalisti, san Francesco di Sales. Una figura dalla quale possiamo ancora oggi trarre qualche esempio fondamentale per fare della comunicazione un’arte. Cioè davvero l’unico modo reale per incontrarci, volto nel volto, cor ad cor, cioè cuore a cuore. Un’esortazione che ci aiuta ad oleare il motore delle nostre relazioni, specie quando le viviamo come un incaglio, un impedimento che frena e ci impedisce di guardare fin nel profondo di quanto sta accadendo. Da qui spesso l’insorgere di incomprensioni che poi diventano divisioni. Senza più dialogo.
E per tornare a questo santo predicatore del XVI secolo (1567-1622), è bello evidenziare l’aneddoto che lui raccontava nell’educare le anime ad una vita di fede e di vera socialità. Narrava infatti che nella natura le vespe, al contrario delle api, succhiano il nettare dai fiori ma non lo trasformano in miele ma in veleno. Una metafora che ci fa da monito. Soprattutto a quanti esercitano la professione di comunicatori e giornalisti. Dai fatti e dalle storie di vita dobbiamo riuscire a fare nostro il lavorio delle api, piuttosto che quello delle vespe, creando, con l’informazione data, parole che costruiscano ponti e non muri.
Opportunità di bene, di speranza e di riconciliazione e non ostilità e contrapposizioni.
L’arte del comunicare egli l’aveva imparata ogni giorno, già dal suo crescere. Infatti, aveva uno sguardo europeo: nasce in Savoia, studia a Parigi, si specializza a Padova dove resta per ben tre anni, diventando esperto in materie giuridiche. Poi, frequenta ambienti difficili. Era infatti teso il clima sociale e religioso del tempo. Dominava il calvinismo, in uno stile agguerrito e sfidante. Ebbene, san Francesco vi si innesta con saggezza. Se era difficile parlare in modo diretto, perché gli eretici lo scansavano e lo osteggiavano, egli sapeva però che nel cuore di ciascuno, anche dei nemici, restava sempre un angolo di speranza. Ed eccolo, allora, scrivere foglietti, spedire lettere aperte e belle, utilizzare spazi di dialogo inatteso.
Il suo metodo era appunto questo: si mediti prima per sé quello che si vuole dire agli altri! Proprio per questo, è il patrono dei giornalisti. Perché ha messo al centro la verità, detta però non con lo stile dell’arroganza, ma dell’umiltà e della semplicità. Che rende poi reali e amabili le cose che dici! Con le sue famose tre regole d’oro: capacità di sintesi; acutezza ed espressività. Cioè, far vibrare le cose che dici. Perché quello che tu dici entrerà veramente nel cuore dell’altro, solo se esce prima dal tuo cuore!
Celebre è poi la sua amicizia con la giovane Giovanna di Chantal, con la quale intrattiene un piacevole Epistolario nel quale i due condividevano un cammino fortemente unitivo nell’amore spirituale. Ciò che colpisce è la profondità di quanto si dicono, che diventa poi luminoso specchio della grazia e dell’amore di Dio in loro.
Volentieri, oggi, inviterei i nostri politici a leggere queste pagine. Forse anche il loro linguaggio, spesso duro e offensivo, si trasformerebbe in miele piuttosto che in veleno. Per diventare api e non vespe, così da accostarsi al fiore del futuro con dolcezza e non con asprezza».