UFFICIO NAZIONALE PER LE COMUNICAZIONI SOCIALI
DELLA CONFERENZA EPISCOPALE ITALIANA

Mons. Pompili: “Non arretrare davanti al nuovo”

“Nella comunicazione del Vangelo oggi c’è qualcosa di nuovo e qualcosa di vecchio. Il nuovo è, naturalmente, la buona notizia, spumeggiante e dirompente come un vino novello”: lo ha detto sabato 24 in Aula Nervi, mons. Domenico Pompili, nella relazione di apertura dell’ultima giornata di lavori del convegno “Testimoni digitali”.
26 Aprile 2010
“Nella comunicazione del Vangelo oggi c’è qualcosa di nuovo e qualcosa di vecchio. Il nuovo è, naturalmente, la buona notizia, spumeggiante e dirompente come un vino novello; il vecchio è paradossalmente la comunicazione, che è soggetta a innovazioni rapide e presto datate, a mutamenti che cominciamo a comprendere solo quando sono passati”: lo ha detto sabato 24 in Aula Nervi, nella Città del Vaticano, il sottosegretario e portavoce della Cei, mons. Domenico Pompili, nella relazione di apertura dell’ultima giornata di lavori del convegno “Testimoni digitali. Volti e linguaggi nell’era crossmediale”. Nel suo intervento davanti ad oltre ottomila persone, in rappresentanza dei giornali diocesani, tivu e radio cattoliche, animatori della cultura nelle diocesi e parrocchie, che ha preceduto la tavola rotonda con il direttore della Sala stampa vaticana p. Federico Lombardi, il vicedirettore generale della Rai Lorenza Lei e il direttore di Avvenire Marco Tarquinio, e poi l’udienza papale, mons. Pompili ha detto che “il digitale è solo il più recente, mutevole scenario che ci interpella, il futuro in cui rischiamo di arretrare. A chi come noi è chiamato ad assaggiare e far gustare la novità dentro questa condizione in perenne divenire è richiesta a prima vista una impossibile missione. Che però non può essere elusa”.
Per poter comunicare con efficacia nel nuovo sistema digitale, ha poi proseguito mons. Pompili, occorrono alcune “condizioni preliminari” che ha richiamato: “La prima è certamente l’intenzionalità, cioè la consapevolezza di ciò che ci sta a cuore e l’impegno a condividerlo, senza dissimulare la propria identità”. Una seconda condizione è “la capacità di avvicinare l’altro, cioè il nostro interlocutore. Se manca la disponibilità ad ascoltare chi ci sta di fronte, cioè realmente la voglia di entrare nel suo mondo e di ospitarlo nel nostro, qualsiasi comunicazione è depotenziata”. Un terzo elemento consiste nell’ “imparare i linguaggi e le nuove forme di comunicazione, cioè entrare dentro il mondo per noi cifrato che altri abitano con naturalezza (pensiamo a quel che scrivono i nostri adolescenti su Facebook!)”. La condizione fondamentale, tuttavia, è – secondo mons. Pompili – “la credibilità che ciascun testimone, anche in versione digitale, deve poter assicurare per garantire la tenuta del proprio agire comunicativo”.
“La chiesa non fa testimonianza nei media (solo) perché ne possiede e gestisce alcuni – ha affermato mons. Pompili, proseguendo nel suo intervento di apertura della mattinata finale del convegno “Testimoni digitali” -. Per esserci occorre prima essere, giacché la responsabilità è una questione di ontologia prima che di etica della comunicazione. Aver cura di sé significa per ciascun animatore della cultura e della comunicazione, così come per qualsiasi professionista dei media, porre in prima istanza l’autenticità e l’affidabilità della propria vita”. I comunicatori saranno chiamati – ha proseguito – ad usare “un linguaggio non meno razionale, ma certo meno intellettuale, meno argomentativo ed astratto, in favore di un linguaggio più simbolico e poetico che lasci emergere il legame profondo tra la fede e la vita vissuta, lo stesso linguaggio delle parabole di Gesù insomma”. Questo linguaggio – ha concluso – sarà “capace di risvegliare i sensi, di riaccendere le domande sulla vita, di mostrare un Dio dal volto umano, di proporre la fede in modo non esterno alle battaglie e alle speranze degli uomini”.