Il volumetto Antenna Crucis di monsignor Ernesto Vecchi sarà presentato a Bologna il 21 gennaio 2011 in occasione della Festa regionale del patrono dei giornalisti, san Francesco di Sales. Così il vescovo ausiliare della diocesi petroniana risponde alle sollecitazioni sul suo ultimo lavoro.
Qualcuno dice che la rivoluzione digitale è potenzialmente traducibile nel 'segno' postmoderno della totale autonomia dell’uomo da Dio. È vero?
È vero. C’è un movimento filosofico che vuole costruire una dimensione puramente umana dell’estetica. Proprio in questi giorni, nel corso di una lectio magistralis all’Università di Bologna, un docente ha teorizzato un’estetica senza metafisica, tutta spalmata sul materiale e quindi senza alcuna possibilità di essere messa in relazione con Dio. È l’autonomia della tecnica e quindi della postmodernità; è il trionfo della tecnica in alternativa a Dio.
In che modo allora questo nuovo scenario può essere illuminato dal Vangelo?
Qui basta richiamare le parole del Papa contenute nell’enciclica Caritas in veritate, quando afferma che questa dimensione tecnologica, se vista come espressione di un 'incarico' dato all’uomo dal Dio creatore di 'elaborare' la terra, rivela il percorso che ci porta verso il Mistero. Quindi la tecnologia di per sé non va demonizzata. Ma quando la si lascia da sola può pericolosamente divenire alternativa a Dio. La tecnologia deve lasciare spazi all’umanizzazione perché quando l’uomo rimane uomo, se aiutato, riesce a scoprire Colui che ci ha fatti a sua immagine e somiglianza.
Lei afferma che per evangelizzare nelle turbolenze del mondo d’oggi occorre navigare a vela tra i marosi del cyberspazio pur ricorrendo alle astuzie del surfista. Cosa significa?
Utilizzare le astuzie del surfista vuol dire capire questo mondo e non demonizzarlo in modo acritico. Vuol dire cercare i punti di discernimento che dividono il bene dal male. E cercare il bene altro non è che esprimere la nostra essenza di cattolici. Che non vuol dire essere di destra o di sinistra ma vuol dire essere secondo il tutto. In altri termini, tutto ciò che di vero, di buono e di bello c’è, il cattolico è capace di promuoverlo e valorizzarlo. Anche nel mondo del digitale ci sono molte cose positive che però vanno riportate «con i piedi per terra», cioè ancorate al mondo reale.
C’è il rischio che il nuovo contesto digitale possa 'contaminare' anche le tradizionali fonti dell’informazione, minando la credibilità della stessa? Con un’inflazione di spettatori che si trasformano in attori e un processo che lei definisce ricco di «germinazioni anomale »?
Sta proprio qui la grande sfida. Noi abbiamo bisogno di comunicare e quando lo facciamo secondo la logica delle tecnologie nuove, e quindi secondo le logiche digitali, creiamo rapporti che lì per lì possono anche soddisfare ma che di fatto ci introducono dentro una virtualità che non ha sbocchi. Ecco allora l’importanza, per noi cattolici, di interloquire all’interno di queste dimensioni, per poter portare il bisogno di dialogo, di comunione, di amore, in una realtà che si tocca con mano: e cioè Gesù Cristo che da vero Dio si è fatto uomo. La gente ha dunque bisogno di comunicare ma, a differenza di quanto accadeva con l’analogico attraverso il quale era possibile arrivare a Dio, non trova nulla che porta al Mistero. Il virtuale ci chiude in un circolo virtuoso fine a se stesso dove è possibile costruire anche immagini stupende, mondi artificiali straordinari ma alla fine resta l’angoscia dell’assenza del concreto.