UFFICIO NAZIONALE PER LE COMUNICAZIONI SOCIALI
DELLA CONFERENZA EPISCOPALE ITALIANA

Mons. Vecchi: la tecnica non è un'alternativa a Dio

Il volumetto Antenna Crucis di monsignor Ernesto Vecchi sarà presentato a Bologna il 21 gen­naio 2011 in occasione della Festa regionale del patrono dei giornali­sti, san Francesco di Sales. Così il vescovo ausiliare della diocesi pe­troniana risponde alle sollecita­zioni di Avvenire sul suo ultimo lavoro.
3 Novembre 2010
Il volumetto Antenna Crucis di monsignor Ernesto Vecchi sarà presentato a Bologna il 21 gen­naio 2011 in occasione della Festa regionale del patrono dei giornali­sti, san Francesco di Sales. Così il vescovo ausiliare della diocesi pe­troniana risponde alle sollecita­zioni sul suo ultimo lavoro.
Qualcuno dice che la rivoluzione digitale è potenzialmente tradu­cibile nel 'segno' postmoderno della totale autonomia dell’uomo da Dio. È vero?
È vero. C’è un movimento filosofi­co che vuole costruire una dimen­sione puramente umana dell’este­tica. Proprio in questi giorni, nel corso di una lectio magistralis al­l’Università di Bologna, un docen­te ha teorizzato un’estetica senza metafisica, tutta spalmata sul ma­teriale e quindi senza alcuna pos­sibilità di essere messa in relazio­ne con Dio. È l’autonomia della tecnica e quindi della postmoder­nità; è il trionfo della tecnica in al­ternativa a Dio.
In che modo allora questo nuovo scenario può essere illuminato dal Vangelo?
Qui basta richiamare le parole del Papa contenute nell’enciclica Ca­ritas in veritate, quando afferma che questa dimensione tecnologi­ca, se vista come espressione di un 'incarico' dato all’uomo dal Dio creatore di 'elaborare' la terra, ri­vela il percorso che ci porta verso il Mistero. Quindi la tecnologia di per sé non va demonizzata. Ma quando la si lascia da sola può pe­ricolosamente divenire alternati­va a Dio. La tecnologia deve la­sciare spazi all’umanizzazione per­ché quando l’uomo rimane uomo, se aiutato, riesce a scoprire Colui che ci ha fatti a sua immagine e so­miglianza.
Lei afferma che per evangelizzare nelle turbolenze del mondo d’og­gi occorre navigare a vela tra i ma­rosi del cyberspazio pur ricorren­do alle astuzie del surfista. Cosa significa?
Utilizzare le astuzie del surfista vuol dire capire questo mondo e non demonizzarlo in modo acriti­co. Vuol dire cercare i punti di di­scernimento che dividono il bene dal male. E cercare il bene altro non è che esprimere la nostra essenza di cattolici. Che non vuol dire es­sere di destra o di sinistra ma vuol dire essere secondo il tutto. In altri termini, tutto ciò che di vero, di buono e di bello c’è, il cattolico è capace di promuoverlo e valoriz­zarlo. Anche nel mondo del digita­le ci sono molte cose positive che però vanno riportate «con i piedi per terra», cioè ancorate al mondo reale.
C’è il rischio che il nuovo contesto digitale possa 'contaminare' an­che le tradizionali fonti dell’infor­mazione, minando la credibilità della stessa? Con un’inflazione di spettatori che si trasformano in attori e un processo che lei defini­sce ricco di «germinazioni ano­male »?
Sta proprio qui la grande sfida. Noi abbiamo bisogno di comunicare e quando lo facciamo secondo la lo­gica delle tecnologie nuove, e quin­di secondo le logiche digitali, creia­mo rapporti che lì per lì possono anche soddisfare ma che di fatto ci introducono dentro una virtualità che non ha sbocchi. Ecco allora l’importanza, per noi cattolici, di interloquire all’interno di queste dimensioni, per poter portare il bi­sogno di dialogo, di comunione, di amore, in una realtà che si tocca con mano: e cioè Gesù Cristo che da vero Dio si è fatto uomo. La gen­te ha dunque bisogno di comuni­care ma, a differenza di quanto ac­cadeva con l’analogico attraverso il quale era possibile arrivare a Dio, non trova nulla che porta al Miste­ro. Il virtuale ci chiude in un circo­lo virtuoso fine a se stesso dove è possibile costruire anche immagi­ni stupende, mondi artificiali straordinari ma alla fine resta l’an­goscia dell’assenza del concreto.