UFFICIO NAZIONALE PER LE COMUNICAZIONI SOCIALI
DELLA CONFERENZA EPISCOPALE ITALIANA

Nativi digitali, la filosofia non va in pensione!

Che cosa guadagnano e che cosa perdono i nativi digitali dalle nuove tecnologie ? In che modo dovrebbe cambiare di conseguenza anche l’insegnamento delle tradizionali discipline scolastiche? Avvenire l’ha chiesto al filosofo Giovanni Fornero...
23 Giugno 2014

Quando parliamo degli adolescen­ti di oggi, parliamo dei cosiddetti 'nativi digitali', sempre connessi, dipendenti dalla tecnologia (smart-phone, internet, social network). Che cosa guadagnano e che cosa perdono da queste nuo­ve possibilità e da questi nuovi strumenti che noi alla loro età non avevamo a di­sposizione? E in che modo cambia, in tale situa­zione, l’insegnamento delle tradizionali discipli­ne scolastiche? Poniamo questa domanda a un filosofo, Giovanni Fornero, uno che di scuola se ne intende: il suo manuale, l’Abbagnano-Forne­ro, che nasce da una profonda revisione e ri­scrittura della storia della filosofia di Nicola Ab­bagnano, è adottato nel 60% delle classi liceali i­taliane. Tra l’altro, con la casa editrice che lo pub­blica, Paravia-Pearson, Fornero è stato antesi­gnano e pioniere nella direzione dell’innovazio­ne tecnologica fin dal 1994, quando furono pro­posti prima alcuni floppy-disk, quindi un cd-rom dal titolo Le rotte della filosofia , in coedizione con la Rai e l’Enciclopedia Multimediale delle Scien­ze Filosofiche .

Dunque, professor Fornero, lei come valuta l’im­patto dei new media sui ragazzi?
«Che nella vita dei giovani l’uso della rete, la pro­duzione audiovisiva e la comunicazione me­diante i social network siano abitudini ormai diffuse è un dato di fatto. Tuttavia a mio parere va ridimensionato, almeno in parte, il mito dei 'nativi digitali', in quanto all’uso, talora buli­mico, di determinati dispositivi spesso non cor­rispondono sempre né effettive abilità infor­matiche né spiccate propensioni per la didatti­ca elettronica».

Può spiegarsi meglio?
«Ad esempio, ragazzi che postano regolarmente su Facebook, anche tramite cellulare, sono im­barazzati quando, a scuola, si trovano a lavorare con i nuovi mezzi per svolgere dei compiti pre­cisi. Difficilmente vanno, se non spinti dai do­centi, a esplorare le espansioni digitali dei loro manuali cartacei».

Quindi si tratterebbe di una sorta di bluff?
«No, non direi così. Il guadagno provocato dalle nuove tecnologie è comunque indiscutibile. Gra­zie a internet, i giovani hanno potenzialmente 'il mondo in casa'. D’altra parte, anche le perdite sono manifeste».

Quali sono principalmente?
«Riguardano ad esempio l’incapacità di concen­trazione lunga su di un testo. Tant’è vero che i na­tivi digitali faticano a svolgere un’analisi, perché convinti che il valore fondamentale sia la velo­cità di reperimento delle informazioni, non la lo­ro rielaborazione critica, che richiede tempo. Contestualmente, faticano a fare una sintesi, perché vivono di sintesi prefabbricate. Di con­seguenza, un gua­dagno effettivo si ha solo se dall’uso superficiale dei di­spositivi informa­tici si passa, anche grazie al lavoro del­la scuola e degli in­segnanti, a un loro uso criticamente avvertito».

Ci sono dei valori della cultura umanistica che rischiano di essere travolti dall’ondata digitale?
«Le incognite ci sono e alcuni valori potrebbero essere a rischio. A cominciare dall’idea, di matri­ce greca e umanistica, di una cultura che non è solo 'informazione' ma innanzitutto 'forma­zione' e attitudine critica. Tuttavia, l’esistenza di possibili rischi non deve distogliere da un uso, o­culato, dei nuovi mezzi. Infatti, rifiutando le con­suete oscillazioni fra mitizzazione e demonizza­zione, ritengo che in questo campo il vero atteg­giamento da assumere non consista nel con­trapporre umanesimo e informatica, bensì nel mettere i nuovi mezzi a servizio dei valori uma­nistici ».

In questo contesto qual è il significato dello stu­dio della filosofia? Glielo chiedo perché oggi in molti si chiedono se la presenza di questa ma­teria nel curriculum degli studi secondari sia davvero indispensabile.
«Per capire se la filosofia sia imprescindibile nel­la scuola, occorre chiedersi se essa sia impre­scindibile nella vita. A questo riguardo non ho dubbi. Come soleva ripetere Abbagnano, in sin­tonia con Platone, la filosofia non è un lusso, ma una necessità. Infatti, in quanto 'animale razio­nale', cioè in quanto essere dotato di ragione, l’uomo non può fare a meno di porsi una serie domande sul bene, sulla libertà, sulla giustizia, sulla felicità. Perciò sarebbe ingenuo ritenere di poter vivere senza filosofare. Anche la scienza, anziché sostituire la filosofia, suscita essa stessa pressanti interrogativi di ordine teorico ed etico. Del resto sono proprio gli uomini del nostro tem­po, incerti sul senso da dare alla vita e alla mor­te, che si interrogano spontaneamente su talu­ne questioni che formano l’oggetto tradiziona­le del dibattito filosofico. Circostanza, quest’ul­tima, che spiega perché la filosofia, come rite­neva lo studioso francese Étienne Gilson, finisca sempre per 'seppellire i propri affossatori'. In­fatti, la vera alternativa non è tra fare o non fare filosofia, ma tra il fare filosofia in modo incon­sapevole e irriflesso e il fare filosofia in modo consapevole e riflesso».

Ma per quanto riguarda la scuola, qual è lo spe­cifico di questa disciplina e quali le ragioni del­la sua insostituibilità?
«Quello che accade nella vita accade nella scuo­la. Anche gli studenti non possono fare a meno di porsi certi interrogativi e di avere una deter­minata visione dell’esistenza. Di conseguenza, se non impareranno a filosofare nella scuola, sarà la televisione, la pubblicità o internet a trasmet­tere loro una certa 'filosofia'. Se si vuole evitare questo esito, deve essere la scuola a insegnare a fare filosofia, cioè ad attivare nei giovani la com­petenza al ragionamento critico. Infatti, uno dei tratti distintivi della competenza filosofica, che Marino Gentile definiva 'un tutto domandare che è un domandare tutto', consiste nel non ac­cettare la realtà in modo passivo, ma nel sotto­porre tutto al vaglio della domanda e della ricer­ca. Da ciò la sua manifesta utilità, soprattutto og­gigiorno. Ma io direi che va fatto ancora di più».

Vale a dire?
«Anziché togliere o ridurre l’insegnamento della filosofia, sarebbe bene introdurre elementi di fi­losofia in tutti i tipi di scuola, facendo leva sul fat­to che la facoltà interrogante esiste in tutti, inclusi i bambini. Se per un certo periodo si è pensato che l’insegnamento della filosofia dovesse ri­guardare soltanto i futuri membri della classe di­rigente, in una società democratica come la no­stra esso dovrebbe riguardare tutti».