UFFICIO NAZIONALE PER LE COMUNICAZIONI SOCIALI
DELLA CONFERENZA EPISCOPALE ITALIANA

Nell'ascolto
l'antidoto all'insulto

C’ è un silenzio che è: niente da dire, vuoto, ignoranza; oppure paura di dire, non volersi impicciare, non vo­lere fastidi. Questo silenzio non serve a nien­te, e non comunica niente. Anzi, è pericoloso. Come lo sono l’ignoranza, la vigliaccheria, l’o­mertà, il menefreghismo, l’indifferenza.
4 Ottobre 2011
C’ è un silenzio che è: niente da dire, vuoto, ignoranza; oppure paura di dire, non volersi impicciare, non vo­lere fastidi. Questo silenzio non serve a nien­te, e non comunica niente. Anzi, è pericoloso. Come lo sono l’ignoranza, la vigliaccheria, l’o­mertà, il menefreghismo, l’indifferenza.

C’è una parola che è conformismo, moda, ru­more. Che è volgare, offensiva, violenta. Che è morta, perché si ripete sempre uguale a se stessa. Quando la parola è così non serve a nien­te, e non comunica niente. Anzi è fastidiosa e dannosa, perché na­sconde la verità dietro il chiacchiericcio. Per fortuna, però, il silenzio e la parola non sono soltanto così.
C’è un detto che tengo sempre presente. Non so chi ne sia l’autore. A volte viene attribuito a padre Turoldo, più spesso al solito saggio cine­se. Recita: «Non fare un discorso, se basta una parola; non dire una pa­rola, se basta un gesto; non fare un gesto, se basta il silenzio». In que­sta goccia di saggezza, il silenzio e la parola, apparentemente poli op­posti e inconciliabili, si manifestano come due facce di una moneta preziosa per comunicare. Infatti, quando la parola è vera non ha bi­sogno di lungaggini: va diritta all’essenziale. Diventata semplice, si tra­sforma in gesto: quando è autentico e limpido, crea il silenzio, la ri­flessione, la meditazione, la comprensione. Questo silenzio non è quel­lo del vuoto, dell’ignoranza, della paura, dell’indifferenza, ma il cam­po interiore dove possono nascere parole vere e significative. Questo è il campo urgente da dissodare e coltivare.
Siamo pieni di parole vuote, conformiste, perbenistiche. Ho sentito u­na tipa alla radio che si è preoccupata di rendere più buonista un vec­chio proverbio: «La gatta frettolosa fa i figli... non vedenti». Siamo tem­pestati da interviste di calciatori che non vanno oltre il «sono conten­to », se hanno vinto, e «mi dispiace» se hanno perso; oppure di fami­liari colpiti dalla morte tragica di congiunti, pressati per far loro di­chiarare di essere molto addolorati. Siamo ammorbati da dibattiti do­ve le parole non esprimono idee, ma posizioni prestabilite, perciò se uno dice «bianco» l’altro dirà inevitabilmente «nero», salvo poi scam­biarsi le parti. Parole così non portano al silenzio, ma alla rissa, all’insulto, alla vol­garità. Non cercano la verità, ma l’applauso. Che, infatti, non manca mai, soprattutto per le parole più vuote e volgari. È urgente ritrovare parole vere, semplici, cariche che portino fino al silenzio che permet­te di ascoltarle, meditarle, rigenerarle. È per questo che il tema pro­posto per la prossima Giornata mondiale delle comunicazioni socia­li, «Silenzio e Parola: cammino di evangelizzazione», dopo un attimo di sconcerto, mi è apparso geniale e provvidenziale. Dobbiamo ritro­vare parole semplici, vere, pregnanti che non siano «bronzo che rim­bomba o cimbalo che strepita». Serve come il pane un silenzio che non sia indifferenza, ma dialogo e discernimento.