UFFICIO NAZIONALE PER LE COMUNICAZIONI SOCIALI
DELLA CONFERENZA EPISCOPALE ITALIANA

New media: il senso del tatto tra virtuale e reale

La parola integrazione significa almeno due cose: la prima è “rendere tutt’uno”, la seconda è “combinare insieme le cose nel modo appropriato”. Il significato più antico di questa parola, però, è legato al latino “tangere”, che vuol dire “toccare”...
22 Giugno 2009

La parola integrazione significa almeno due cose: la prima è “rendere tutt’uno”, la seconda è “combinare insieme le cose nel modo appropriato”. Il significato più antico di questa parola, però, è legato al latino “tangere”, che vuol dire “toccare”. Ogni giorno la persona utente ha un approccio “tattile” con il personal computer e di conseguenza, tramite la connessione ad Internet, entra nel così detto “mondo virtuale” del web. Nei primi anni Novanta i ricercatori di Rv, sigla che sta per Realtà virtuale, hanno concentrato i loro sforzi nello studio e nella creazione di simulazioni del tatto nella convinzione che il tatto “non è solo il fondamento della realtà, ma è anche una delle basi dell’intelligenza e della comprensione” (cfr. Derrick de Kerchhove: Brainframes. Mente, tecnologia, mercato, Baskerville, 1991). Addirittura tra gli entusiasti della Rv c’è chi sottolinea come la digitalizzazione ha una storia: il passaggio dall’alfabeto all’elettricità fu effettuato per la prima volta grazie al telegrafo e a Samuel Morse. L’aspetto interessante della Rv, però, è che due parole dal significato tendenzialmente opposto, reale e virtuale, vengono “linkate” per definire una condizione: la realtà virtuale, quasi per creare un legame tra il mondo virtuale e quello reale, o meglio, una “integrazione” tra la sfera del reale e quella del virtuale. Un esempio concreto su cui si è dibattuto nei giorni della Fiera del libro di Torino è il concetto di e-book, di libri elettronici, e della potenziale scomparsa dei libri cartacei (lo stesso dibattito sta avvenendo per i quotidiani ndr) a favore dei libri digitali. C’è chi come Umberto Eco ha detto che il libro digitale non farà mai scomparire la carta; c’è chi la vede invece come Rupert Murdoch, secondo cui per salvare l’editoria nell’era del bit bisogna trovare modelli di business a pagamento per libri e giornali come è stato fatto per la musica (cfr. Anna Masera: “La carta non abita più qui”, La Stampa del 13 maggio 2009, pag. 39). È vero che gli e-book sono ideali per lo studio, ai professionisti consentono modalità di lettura funzionale e l’accesso immediato alle informazioni, ma è pur vero che gli e-book hanno finora deluso le aspettative. Non solo per il costo dell’hardware che li conterrebbe, ma anche perché per una questione di “tattilità”. Un giornale, un libro, la carta, si sfogliano, si leggono, si maneggiano fino alla loro conservazione in scaffali, librerie e biblioteche. Gli e-book e gli e-journal hanno altri pregi, ma restano sempre e comunque “mediati” da personal computer, notebook, palmari, I-Phone, I-Pod e altri strumenti. Il coefficiente, dunque, che fa la differenza resta il “tatto”, così come nel caso delle relazioni interpersonali gran parte della comunicazione verbale è sempre stata accompagnata dalla comunicazione non verbale (Cnv), Desmond Morris docet. Con l’avvento dei social network, cioè delle così dette “reti sociali”, il rapporto tra virtuale e reale sembra – volutamente – essersi assottigliato. È vero come conferma il sociologo Stefano Martelli che virtuale e reale tranquillamente possono convivere insieme man mano che la gente si abituerà ad usare tutte le nuove tecnologie perché ad unificare reale e virtuale resta comunque la persona, ma è altrettanto importante la questione educativa. La persona deve essere educata all’orientamento e alla navigazione con buon senso, responsabilità e competenza, quindi con discernimento davanti al concetto di virtuale e reale applicato al mondo del web.

di Vincenzo Grienti