UFFICIO NAZIONALE PER LE COMUNICAZIONI SOCIALI
DELLA CONFERENZA EPISCOPALE ITALIANA

Noi, il “medium” più prezioso

In vista del convegno che, mercoledì 4 dicembre alla PUL, celebrerà i 50 anni del decreto conciliare "Inter mirifica", ecco la riflessione di Mons. Domenico Pompili per "Avvenire". "Anche nei nuovi ambienti digitali - scrive il Direttore -, se riusciamo a farci testimoni, il medium più prezioso siamo noi".
 
3 Dicembre 2013
In vista del convegno che, mercoledì 4 dicembre alla PUL, celebrerà i 50 anni del decreto conciliare "Inter mirifica", ecco la riflessione di Mons. Domenico Pompili per "Avvenire". "Anche nei nuovi ambienti digitali - scrive il Direttore -, se riusciamo a farci testimoni, il medium più prezioso siamo noi".

 
 
Forse non tutti ricordano l’esitazione che aveva accompagnato l’approva­zione dell’Inter mirifica, il primo do­cumento licenziato dal Concilio Vaticano II. Cinquant’anni dopo, le titubanze sono solo un ricordo di fronte a quello che l’Inter mi­rifica ha prodotto nella Chiesa. Il documen­to si introduceva, peraltro, con una splendi­da affermazione circa «le meravigliose in­venzioni della tecnica… che più diretta­mente riguardano le facoltà spirituali del­l’uomo e che hanno offerto nuove possibi­lità di comunicare» (n. 1), il che lasciava tra­pelare lo sguardo originale con cui guarda­re a questa novità dei tempi moderni. La scelta dell’ Inter mirifica non è stata più ab­bandonata e di lì sono andate consolidan­dosi alcune linee di sviluppo che oggi si fan­no più chiare. Ne enumero almeno tre.
La prima: la scelta di un approccio non spe­cialistico, che fa degli strumenti della co­municazione sociale non un fatto tecnico, ma una questione antropologica, dove la va­riabile umana appare decisiva.
La seconda: la percezione di un cambio d’e­poca e non solo di un’epoca di cambiamenti, direbbe papa Francesco. L’Istruzione pasto­rale del 1971 ( Communio et Progressio), che verrà redatta per dare compimento all’in­compiutezza dell’Inter mirifica , pone un in­terrogativo che presagisce la rivoluzione di­gitale che sta per appalesarsi: «A questo pun­to si pone un problema molto difficile, se siamo cioè alla soglia di un’era totalmente nuova della comunicazione sociale oppure no; se, in altre parole, nelle comunicazioni si sta operando non soltanto un progresso di quantità, ma anche di qualità» (n. 181).
La terza: la sfida di un linguaggio che do­vrebbe giungere a tutti, ma con la capacità di penetrare dentro la coscienza di ciascu­no. Non alla massa impersonale degli indi­vidui anonimi ed equivalenti, ma ad ogni singolo membro della famiglia umana, fa­cendo appello proprio alla sua irripetibile u­nicità. Paolo VI, nella Evangelii nuntiandi (8 dicembre 1975) lo dice con chiarezza: «Nel nostro secolo, contrassegnato dai mass me­dia o strumenti di comunicazione sociale, il primo annuncio, la catechesi o l’approfon­dimento ulteriore della fede, non possono fa­re a meno di questi mezzi (...). Posti al servi­zio del Vangelo, essi sono capaci di estende­re quasi all’infinito il campo di ascolto del­la Parola di Dio, e fanno giungere la Buona Novella a milioni di persone. La Chiesa di sentirebbe colpevole di fronte al suo Signo­re se non adoperasse questi potenti mezzi, che l’intelligenza umana rende ogni giorno più perfezionati; servendosi di essi la Chie­sa 'predica sui tetti' il messaggio di cui è de­positaria; in loro essa trova una versione mo­derna ed efficace del pulpito. Grazie ad essi riesce a parlare alle moltitudini. Tuttavia l’u­so degli strumenti di comunicazione socia­le per l’evangelizzazione presenta una sfi­da: il messaggio evangelico dovrebbe, per il loro tramite, giungere a folle di uomini, ma con la capacità di penetrare nella coscienza di ciascuno, di depositarsi nel cuore di cia­scuno, come se questi fosse l’unico, con tut­to ciò che egli ha di più singolare e persona­le, e di ottenere a proprio favore un’adesio­ne, un impegno del tutto personale» (n. 45).
Inter mirifica, Communio et progressio ed E­vangelii nuntiandi sono il triangolo concet­tuale da ritrovare se vogliamo riannodare i fili di un rapporto, quello tra fede e comu­nicazione, che a ogni epoca si presenta in modo nuovo.
Un rapporto che oggi deve misurarsi con le sfide del digitale. La novità oggi è il fatto di trovarci in una stagione che già Walter Ong aveva definito di «oralità secondaria». Per un verso siamo tornati a scrivere su smartphone e tablet, per un altro verso que­sta comunicazione è quasi parlata e segna­ta da una ricerca di interlocuzione che cer­ca relazioni prima che contenuti, e che uti­lizza forme colloquiali, gergali, contratte molto più vicine alla lingua parlata che a quella scritta. McLuhan definiva questa o­ralità secondaria, rintracciabile allora nel lin­guaggio giovanile e oggi in quello della Re­te, come «visibile speech»: «parola parlata visibile» più che «parola scritta».
Parola che, in ogni caso, mette al centro la relazione. Come sottolinea anche l’ultimo Rapporto Censis-Ucsi, intitolato L’evoluzio­ne digitale della specie: «Le tecnologie digi­tali si stanno fondendo con la nostra di­mensione corporea e mentale (...) perché di fatto non sono più ’media’, cioè qualcosa che sta ’in mezzo’ tra una cosa e l’altra. Gli stru­menti digitali ’sono’ la cosa che si forma dal­la fusione di noi stessi con i dispositivi tele­matici. Per questo motivo, si può sostenere che è in corso una vera e propria evoluzio­ne della specie, un salto qualitativo delle no­stre attitudini e capacità». Non basta però registrare la novità sul pia­no quantitativo, con tutte le curiosità sulla dieta mediatica che si trasforma e sulla prio­rità dell’uno o l’altro strumento, o la loro convergenza. Occorre mettere a tema lo scarto qualitativo che la novità tecnica com­porta, e che ci aiuta a rileggere nella giusta prospettiva il rapporto tra ciò che è nuovo e ciò che è antico, tra le meravigliose inven­zioni e i bisogni antropologici originari: la rinnovata centralità della relazione, che pre­cede ogni passaggio di contenuti e ne è con­dizione imprescindibile. E, dunque, ricono­scere, che, grazie anche alle meraviglie del­la tecnica, oggi il linguaggio è relazionale pri­ma che referenziale. Come ben ci mostra, peraltro, papa Francesco con la sua cate­chesi quotidiana in cui parole e azioni, me­dium e messaggio coincidono. Anche nei nuovi ambienti digitali dunque, se riusciamo a farci testimoni, il medium più prezioso siamo noi.

Domenico Pompili