UFFICIO NAZIONALE PER LE COMUNICAZIONI SOCIALI
DELLA CONFERENZA EPISCOPALE ITALIANA

Non è più tempo di riviste culturali. O no?

Si è tornato a parlare di riviste letterarie e culturali, anche per la riapparizione di una testata che era stata importante, come «Alfabeta». Non so se fosse il caso di riproporla ma di certo manca una rivista culturale capace di presentare ad alto livello ciò che accade nel mondo delle varie lettere e arti.
20 Agosto 2010
Si è tornato a parlare, in questi tempi, di riviste letterarie, di riviste culturali in genere, anche per la riapparizione di una testata che era stata importante, come «Alfabeta». In effetti esistono numerosissime riviste soprattutto letterarie, e sono imprese per vari aspetti lodevoli e interessanti, ma che dopo tutto si propongono, come se nulla fosse cambiato, secondo modalità che appartengono a tempi in cui il sistema della comunicazione era assolutamente diverso e felicemente lentissimo. E così, con pochissime eccezioni, come «Nuovi Argomenti», queste pubblicazioni non vanno molto oltre una circolazione minima: come dire che a leggerle sono quasi soltanto coloro che vi scrivono. «Alfabeta», per il suo progetto interdisciplinare, poteva costituire un modello forte alternativo, e quando l’ho vista rinascere ho avuto una reazione positiva, pensando alla sua prima e gloriosissima serie, quando a occuparsene era soprattutto Antonio Porta, e quando anch’io avevo la fortuna di collaborare molto spesso.
Purtroppo non sono convinto che, dopo tanto tempo e in tempi così mutati, fosse davvero il caso di riproporla, sia pure in chiave aggiornata.
Quello che è certo è che manca una rivista culturale capace di presentare ad alto livello una rassegna informativa e critica di ciò che accade nel mondo delle varie lettere e arti.
Io sogno un mensile illustrato interdisciplinare nel quale la stessa poesia possa essere proposta accanto alle altre forme espressive con pari diritto di circolazione. Ho diretto per due anni il mensile «Poesia», e anche allora pensavo che quella rivista avrebbe avuto maggior senso se avesse compiuto due passi successivi, trasformandosi prima in mensile di letteratura e poi in mensile culturale vero e proprio.
Quello che manca è infatti una pubblicazione in cui trovino spazio i percorsi della scrittura e delle arti visive, del cinema e della musica, dell’architettura e della danza, dando conto di quanto di più rilevante accade e distinguendo in modo netto tra arte di ricerca, elaborazione elevata dei linguaggi, rispetto alla poltiglia sub-culturale da cui siamo sommersi e che occupa stucchevolmente tanto spazio nei giornali. Sogno un mensile in cui si distingua coraggiosamente (al limite del giudizio arbitrario) tra narrativa e narrativa pop, tra musica e musica pop, restituendo centralità alla poesia e facendo in modo che idealmente tutte le arti maggiori potessero tornare a collaborare tra di loro in un progetto collettivo capace di accogliere il meglio e riportando ai margini la mediocrità dei vari surrogati circolanti. Tutto questo, appunto, per affermare una scelta di valori non solo basata su criteri mercantili e consumistici.
Quando di recente ho visto il concerto di Bono a Torino occupare pagine dei quotidiani, pur nel rispetto di chi si è precipitato ad ascoltarlo, ho provato un senso di forte disagio, nella sproporzione esistente tra il credito concesso e l’importanza artistica del fatto. Anche la rivista che sogno se ne occuperebbe, beninteso, dedicando agli U2 20 righe. E omaggiando ampiamente la figura di un poeta importante come Luciano Erba, di recente scomparso e meritevole di ben maggiore considerazione, rispetto ad altri personaggi, di minima o nessuna sostanza, e salutati come eroi.