UFFICIO NAZIONALE PER LE COMUNICAZIONI SOCIALI
DELLA CONFERENZA EPISCOPALE ITALIANA

Non è un mestiere per cinici

Approfondimento, etica della responsabilità, inchiesta: sono alcuni degli elementi che rendono la professione giornalistica fedele alla sua più intima essenza: testimoniare. Di questo hanno discusso il 21 agosto, al Meeting di Rimini, i direttori di Avvenire, Sole 24 Ore e Radio Uno. Ne rende conto Alessandro Zaccuri.
22 Agosto 2012
Un particolare ci salverà. Il 'ci' è, nella fattispecie, particel­la professionale, riferita ai giornalisti. Mestiere un tempo leg­gendario, oggi ampiamente scadu­to nella considerazione pubblica. Il reporter prova a consolarsi ripen­tendosi che è colpa delle nuove tec­nologie, ma sa di non avere la sua parte di torto. È una storia che as­somiglia a quella dello spread: il pro­blema sarà pure annoso, ma ormai è sotto gli occhi di tutti. La confer­ma viene dal portavoce di Cl, Al­berto Savorana, che a conclusione dell’incontro riminese su 'Raccon­tare la realtà' ricorda una battuta di don Giussani agli amici cronisti: non importa quante volte avete sbaglia­to, scegliete un particolare, descri­vetelo con passione, fatene tesoro per illuminare la totalità degli eventi. Entusiasmante, ma funziona? Sì, e oggi meglio di ieri, come dimostra­no le esperienze dei tre direttori chiamati a misurarsi con interroga­tivi classici e attualissimi. Come col­tivare uno sguardo che non trasfor­mi fatti in fattoidi? E ancora: come evitare la continua confusione tra vero e verosimile, lamentata di re­cente anche dal cardinale Scola? Tornando a esercitare un’etica del­la responsabilità, suggerisce il di­rettore del Sole 24 Ore, Roberto Na­poletano. Anche e specialmente quando il quadro è complesso, per­ché chiama in causa poteri fin trop­po forti (la finanza internazionale) e altri terribilmente indeboliti (la politica, e non solo quella italiana). Si parla della crisi economica, ov­vero della 'grande guerra ' finan­ziaria in corso sulle teste e sulla pel­le dei popoli, definizione e analisi cara ad Avvenire, e alla quale Napo­letano attribuisce, tra l’altro, il me­rito di rendere intellegibile un pro­cesso che riguarda tutti, ma pochi riescono a comprendere. Il che, a pensarci bene, offrirebbe un’ottima occasione per riscoprire l’altrimen­ti desueta inchiesta alla vecchia maniera. «Prima erano i cronisti ad anticipare il lavoro della ma­gistratura – osserva il direttore del Sole 24 Ore –, adesso ci si ac­contenta di fare da cassa di ri­sonanza alle inchieste giudizia­rie ». La trappola della notizia quasi vera è terribilmente insidiosa per chi si trova a raccontare la realtà 'minuto per minuto', com’è nella missione del Gr Rai di­retto da Antonio Preziosi. Ma anche qui si può evitare il peggio rispolve­rando qualche regola di antica sag­gezza. «Di frequente si rinuncia al­la verifica delle fonti per la smania di arrivare primi – lamenta Prezio­si, responsabile anche della pro­grammazione di RadioUno –, men­tre è preferibile piazzarsi ultimi an­ziché diffondere un’informazione sbagliata. Era Enzo Biagi a ripetere che il giornalista è un testimone dei fatti, non un protagonista. Né un profeta, nonostante la tendenza di molti colleghi a sbilanciarsi in pre­visioni eclatanti». Divinare il futuro no, ma coltivare una visione che permetta di coglie­re l’importanza dei fenomeni sì: è la posizione del direttore di Avveni­re , Marco Tarquinio, molto esplici­to nel denunciare la sostanziale pi­grizia dei media attuali. «Si è diffu­sa la convinzione – spiega – che un fatto, quando avviene da troppo tempo, non è più una notizia. Ma le campagne condotte dal nostro quo­ditiano, compresa quella sulla co­siddetta 'terra dei fuochi' tra Na­poli e Caserta, dimostrano che il giornalismo d’inchiesta è ancora ca­pace di combattere la rassegnazio­ne e di infondere speranza». In­somma, l’esatto contrario del do­minante catastrofismo a mezzo stampa («Se il mondo fosse vera­mente come lo presentano i gior­nali, sarebbe finito da un pezzo», sintetizza Tarquinio). E l’obiettività? «Forse non si può essere imparzia­li – risponde il direttore di Avvenire -, però di sicuro si deve essere one­sti. Del resto, questa è la realtà che ci è data. Tanto vale farne buon u­so ».

Alessandro Zaccuri