Chiesa, tecnologie digitali e nuovi linguaggi mediatici saranno al centro di Testimoni Digitali, il convegno che si terrà a Roma dal 22 al 24 aprile 2010 a distanza di quasi otto anni da Parabole mediatiche. «Quella del 2002 fu l’occasione per prendere coscienza dello scenario in cui la Chiesa italiana rinnovava il suo impegno nel mondo della comunicazione alla luce degli orientamenti pastorali per il decennio – ricorda il vescovo di Macerata-Tolentino-Recanati-Cingoli-Treia Claudio Giuliodori, presidente della Commissione episcopale per la cultura e le comunicazioni sociali –. Oggi il contesto delle comunicazioni sociali è profondamente cambiato e gli strumenti mediatici hanno subito una innovazione che incide sullo stile di vita delle persone».
La vera novità di questo appuntamento rispetto al precedente meeting del 2002 è solo la parola «digitale »?
Gli obiettivi sono molteplici: principalmente si vuole rafforzare l’attenzione della comunità ecclesiale alla comunicazione nel contesto dell’evangelizzazione. Oggi il fattore che incide maggiormente sul mutamento sociale è l’innovazione tecnologica, soprattutto nel campo dei media. Ebbene, con il convegno si vuole elaborare una riflessione che aiuti tutti a integrare il messaggio del Vangelo dentro questa nuova cultura digitale. Per la riuscita dell’iniziativa, che ci auguriamo possa registrare un’ampia partecipazione, puntiamo sui contenuti che saranno proposti alla realtà ecclesiale e, soprattutto, ad un mondo che si interroga sul futuro. Siamo infatti consapevoli che ad ogni passaggio tecnologico corrisponde una ridefinizione dell’umano, che finisce per incidere sull’esperienza quotidiana.
È il caso, ad esempio, della tv in cui, come scriveva ne La pelle della cultura De Kerchove, il rapporto tra una persona e uno schermo «oggettivo» è finito?
Siamo nell’era dell’user friendly , cioè di software e di applicazioni di facile usabilità che accompagnano per mano la persona utente digitale grazie a interfacce grafiche gradevoli e all’uso di pulsanti intuitivi e menù immediati. Al riguardo occorre far crescere nella Chiesa la consapevolezza che tutti i linguaggi dell’era i- permediale o cross-mediale interpellano la testimonianza credente. Si chiede alla comunità cristiana di affinare la propria presenza e il proprio impegno nel flusso informatico, sulla scia degli insegnamenti di Giovanni Paolo II prima e di Benedetto XVI oggi. Tutto ciò senza dimenticare di riconoscere e valorizzare la dimensione interpersonale che resta principio e termine di ogni autentica comunicazione.
Secondo lei questa dimensione non rischia di essere intaccata dalle diverse forme di connessioni telematiche che generano a volte attraverso i social network relazioni virtuali?
Certamente, ma chi si occupa di comunicazioni sociali, e mi riferisco soprattutto all’Animatore della comunicazione e della cultura, deve affrontare la sfida di leggere l’universo della comunicazione in termini di risposta educativa. È questa la principale responsabilità: favorire il percorso di crescita umana e spirituale educando, in modo particolare le nuove generazioni, ad interagire positivamente, ma anche criticamente, con questa nuova condizione del «vivere digitale».
Infine, che cosa ha ispirato la scelta del titolo «testimoni digitali»? Non si corre il rischio di sminuire il senso della testimonianza?
Come già avvenuto con parabole mediatiche abbiamo cercato di sintetizzare il tema in uno slogan che fosse anche un po’ provocatorio e intrigante. Con «digitale» si vuole indicare il nuovo territorio dove la Chiesa è chiamata a vivere la sua missione evangelizzatrice, mentre con «testimoni» si vuole sottolineare il necessario coinvolgimento del credente e della comunità nel rendere visibile e credibile l’annuncio evangelico.