UFFICIO NAZIONALE PER LE COMUNICAZIONI SOCIALI
DELLA CONFERENZA EPISCOPALE ITALIANA

Occhi schermati?

Vi proponiamo una riflessione di Giorgio De Simone, pubblicata da Avvenire del 1° marzo, sull'incidenza della "tecnologia esasperata che inchioda gran parte dell’umanità agli schermi, piccoli e grandi, dalla mattina alla sera", sulla vita di ogni giorno e sul rischio del "venir meno dello sguardo"...
1 Marzo 2013
Il mio primo volo aereo risale all’età della pietra. Anni Cinquanta, aeroporto Boccadifalco: prendo coi miei genitori un bimotore da Palermo a Napoli. All’imbarco tanti a vederci come fossimo astronauti. Durante il volo sorrisi, scambi di battute, piccole confidenze, cenni d’intesa: andrà tutto bene. Chi allora aveva l’ardire di salire su un aereo faceva parte di un club privilegiato. Durò, credo, fino ai primi anni Sessanta, poi i club si sciolsero e cominciò il volo di massa. Ma perché lo dico? Perché di recente, dopo un po’ che non prendevo aerei, mi sono ritrovato su un volo Bari-Bergamo. Ho appena allacciato la cintura che vicino a me, posto corridoio, si siede una ragazza alta, non particolarmente appariscente, sui trent’anni. Un colpo di cellulare a qualcuno per dire che è a bordo, poi testa nel cappuccio del giaccone e occhi chiusi. L’aereo è ancora fermo, ma lei manda a dire che da questo momento non esiste. Quando, una volta a destinazione, me la ritrovo a poca distanza sul pullman che da Bergamo porta a Milano, la testa è fuori dal cappuccio, ma non uno sguardo, un cenno, per lei il mondo proprio non c’è. Non è la sola. I volatori tutti, una volta costretti a spegnere cellulari, smartphone, Ipad e tablet assortiti, eccoli raggomitolati in se stessi, meglio se con le cuffie da cui assorbire musica, gli altri intorno inesistenti. Avevo appena letto, e mi aveva colpito, una giovane scrittrice, Maria Paola Colombo: «Cerco gli occhi delle persone, e trovo forme convesse, colme di distanza. Non è solo un fatto di libri: la gente non legge in generale. Non legge gli sguardi, i passi, le incertezze, le strade, il cielo» («La Lettura» del Corsera). Eh sì. Nessuno, a quanto ho notato, guarda più fuori dall’oblò oggi, in aereo. C’è una grande incapacità di visione. Mi chiedo da cosa dipenda: dalla tecnologia esasperata che inchioda gran parte dell’umanità agli schermi, piccoli e grandi, dalla mattina alla sera? Dalla crisi che isola e sconforta e toglie fiducia nel prossimo, tanto più se sconosciuto? Quegli anni ’50 primi ’60, certo, restano incomparabili. Mi rivedo a parlare con il vicino e commentare il tempo, il volo, fare raffronti, individuare il mondo laggiù e poi, una volta tornati sulla terra, l’immancabile: «Speriamo di rivederci».
Mentre oggi è il venir meno dello sguardo, che è fatto per non sentirsi soli sulla Terra. Tutti gli esseri viventi hanno occhi, ma i nostri non sono quelli dei conigli, sono fatti per guardare e dire, sorridere, accettare, rifiutare. E amare, si capisce. Sono fatti per tante cose tranne che per stare aperti e non vedere. Con lo sguardo impiegato altrove (ma dove?) l’uomo di oggi ha abdicato al dovere di vedere il mondo. Non lo guarda, il mondo, se non su schermo. Grande, piccolo, medio, tascabile, basta che sia schermo. Né, ormai, si torna indietro. Tutti questi schermi sono irreversibili. Mentre la pedagogia dell’età evolutiva si chiede quanto siano nocivi alla crescita dei bambini, allo sviluppo della loro mente. Non poco nocivi, sembra. Ma la generazione digitale è in campo, inarrestabile. A noi «vecchi» tagliati fuori non resta che prenderne atto: trepidando.
 
Giorgio De Simone