UFFICIO NAZIONALE PER LE COMUNICAZIONI SOCIALI
DELLA CONFERENZA EPISCOPALE ITALIANA

Parlare di tutto, senza tabù

Dopo l'intervista di monsignor Nunzio Galantino alla Radio Vaticana (un mese fa), continua nel mondo dell'informazione cattolica il dibattito sui temi sollevati dal Segretario della CEI. Il Copercom ha raccolto una riflessione di Don Antonio Rizzolo, direttore responsabile di "Credere" e di "Jesus".
5 Maggio 2014
Giornalisti cattolici più bigotti dei bigotti? Il rischio evocato dal segretario generale della Cei, monsignor Nunzio Galantino, in un’intervista alla Radio Vaticana, è reale. Anche se, in fondo, è il pericolo che corrono tutti i professionisti dell’informazione quando antepongono l’ideologia al racconto dei fatti. La stessa legge istitutiva dell’ordine professionale afferma che è “obbligo inderogabile” dei giornalisti “il rispetto della verità sostanziale dei fatti, osservati sempre i doveri imposti dalla lealtà e dalla buona fede” (art. 2). Ci sarebbe molto da riflettere, da questo punto di vista, sul futuro dell’informazione in Italia e sul perché i giornalisti siano considerati sempre meno credibili dalla gente.
Per quanto riguarda noi giornalisti cattolici, in realtà, la ricerca della verità, la correttezza, la buona fede dovrebbero essere nel nostro Dna. Come ci insegna il Vangelo stesso. Se però monsignor Galantino ha deciso di lanciare l’allarme, vuol dire che qualche problema c’è. Anche se, a mio parere, la professionalità e la qualità del giornalismo cattolico oggi non hanno nulla da invidiare ad altri. Lo posso dire partendo dalla mia esperienza all’interno dei periodici paolini, da Gazzetta d’Alba a Famiglia Cristiana, fino a Credere e a Jesus. Ogni giornale di cui mi occupo ha la sua specificità, tuttavia il rispetto della verità unito al rigore e alla professionalità sono un denominatore comune. Partendo da qui vorrei fare alcune brevi riflessioni su che cosa vuol dire essere giornalisti cattolici evitando il rischio del “bigottismo”.
L’idea di fondo che, a mio parere, deve animare ogni professionista cattolico dell’informazione può essere sintetizzata nel motto che il fondatore, il beato don Giacomo Alberione, ha lasciato a noi paolini: “Parlare di tutto, cristianamente”. Il significato lo ha esplicitato bene don Leonardo Zega, direttore di Famiglia Cristiana dal 1980 al 1998: “Offrire ai lettori un prodotto sano e appetibile, professionalmente alla pari con gli altri; parlare di tutto senza tabù, leggere le vicende del mondo e degli uomini d’oggi alla luce del Vangelo; essere fedeli nella libertà, ubbidienti ma non codini, pagando anche di persona se necessario”.
Il suo predecessore alla guida del settimanale paolino, don Giuseppe Zilli, aveva sintetizzato in pochi punti fermi le caratteristiche di un giornale cattolico. Le sue parole sono ancora valide oggi e si possono estendere, naturalmente, a ogni mezzo di informazione. Prima di tutto, scriveva, “il giornale cattolico o cristiano non è in senso stretto un giornale politico: non è a servizio di alcun partito, né si confonde con una precisa forza politica”. In secondo luogo “non è un giornale clericale, dando a questo termine il senso restrittivo di ‘giornale dei preti e della gerarchia’ o di difesa dei privilegi di casta”. Il giornale cattolico, ancora, “non è un giornale di rottura, nel senso d’interruzione del dialogo”. Al contrario, “non smette mai di usare il linguaggio della carità anche quando deve parlare con chiarezza e combattere le sue battaglie più proprie”. Infine “il giornale cattolico è palestra di opinioni, come tutti gli altri giornali, con riferimento alla luce ideale in cui si muove. Nessun argomento dev’essere tabù”. Tutti, invece, spiegava don Zilli, “debbono poter intervenire, tutti debbono esporsi sul giornale. La politica del coprirsi e del coprire non serve più a nulla. Qualunque cosa può essere, occorrendo, precisata, aggiornata, riveduta, corretta, ma sul giornale”. In Italia, aggiungeva con una punta di polemica, “si preferiscono ancora le vie gerarchiche. Troppe persone, specie tra quelle quotate, non si espongono. Un giornale cattolico, proprio perché utilizza un linguaggio giornalistico, non parla per definizioni o per ‘avvisi’, e perciò le precisazioni, oltre che possibili, sono a volte necessarie. In altre parole, bisogna auspicarsi che in Italia ci siano meno persone, tra i lettori di giornali cattolici, che scrivono al Papa e ai Vescovi, e più persone che scrivono al loro giornale”.
Credo che queste osservazioni, che don Zilli ha scritto negli anni ’70, siano ancora attualissime. E possano aprire la strada a una riflessione che riguarda tutta la comunicazione nella Chiesa. L’auspicio è che, partendo dalla provocazione di monsignor Galantino, i giornalisti cattolici abbiano sempre più il coraggio della verità, del dialogo, del rispetto dei lettori, offrendo un’informazione chiara, onesta, professionalmente ineccepibile.
 
Don Antonio Rizzolo
Direttore responsabile di “Credere” e di “Jesus”