Educare i più giovani a uno «sguardo critico» verso i nuovi media è un compito «fondamentale» delle famiglie. Ma per riuscirci, come spiega Paolo Peverini, docente di Semiotica e di Semiotica della comunicazione visiva alla facoltà di Scienze politiche della Luiss 'Guido Carli' di Roma, è necessario che imparino a riconoscere le strategie messe in campo da questi nuovi strumenti di comunicazione. Peverini è intervenuto il 16 novembre al corso che si è tenuto a Roma nella parrocchia di San Romano Martire, dal titolo «La seduzione della pubblicità». L’incontro, che fa parte del ciclo «Figli e mass media. Istruzioni per l’uso», è stato organizzato per la XII prefettura dall’Ufficio diocesano di comunicazioni sociali e dal Centro per la pastorale familiare.
Professore, un corso sui media per i genitori in una parrocchia può davvero essere utile?
Credo che imparare a leggere i media sia necessario anche per capire come si trasforma il mondo in cui viviamo. Visto che si parla di una mediatizzazione del sociale, imparare a leggere i segni, le strategie attraverso cui i media dispiegano la loro forza all’interno del contesto sociale è fondamentale. In questo senso si tratta di dotarsi di uno sguardo critico, a partire da alcuni strumenti di tipo teorico e metodologico, per imparare a muoversi meglio. Bisogna riuscire a capire quali sono le logiche attraverso cui prendono forma alcuni fenomeni: pensiamo per esempio ai discorsi talvolta molto accesi sulla pubblicità o sull’informazione, o alle logiche complesse che regolano il funzionamento dei social network.
I nuovi media in realtà 'appartengono' ai giovani. Lei però pensa sia necessario farli conoscere meglio anche ai genitori?
Certo. Il compito che spetta alle famiglie è molto importante: devono imparare a osservare con sguardo acuto i fenomeni della comunicazione, capire come nascono e quindi comprendere meglio come educare i figli a viverli in maniera consapevole. Occorre insomma sviluppare uno sguardo critico e rendersi conto di quanto possano essere complesse le logiche della comunicazione.
Sabato scorso Benedetto XVI parlando alla plenaria del Pontificio Consiglio della Cultura ha sottolineato come le «infinite possibilità offerte dalla rete informatica rischiano di aumentare il senso di solitudine e spaesamento». Cosa ne pensa?
È uno degli aspetti che entrano in gioco. In questo senso, imparare a leggere i media significa affrontare questioni di natura molto più profonda che riguardano l’essere umano e anche il senso di solitudine che si può provare. Imparare a leggere i media non significa dotarsi di competenze di tipo tecnico: si tratta di capire che non è uno studio fine a se stesso.
Il Pontefice ha anche auspicato «una comunicazione umanizzante». Com’è ancora possibile oggi?
Assolutamente centrale è l’obiettivo di umanizzare, a partire anche dalla comunicazione, perché si tratta chiaramente di imparare a utilizzare in maniera accorta, intelligente, utile i media all’interno del tessuto sociale. Senza studio, però, non si riesce a capire effettivamente il mondo in trasformazione. Umanizzare è un obiettivo fondamentale, da perseguire sia dal punto di vista teorico che pratico.
Negli Orientamenti pastorali della Cei per il prossimo decennio si sottolinea la «possibilità di guardare con uso sapiente e responsabile » ai nuovi strumenti mediatici. A questo proposito, come è possibile farlo con Internet? Con l’utilizzo di Google e Wikipedia, per esempio, tutto sembra neutrale. Per i ragazzi è difficile riconoscere dove è la verità...
Innanzitutto occorre spiegare ai giovani cos’è Wikipedia, in cosa consiste questa enorme enciclopedia e quali sono i rischi immediati. Google per esempio non è la verità, è uno strumento che può agevolare in parte la comprensione del mondo. Ma bisogna spiegare che la verità assoluta non è negli strumenti. Si deve educare a una visione meno assolutizzante della navigazione. La verità non si trova in un unico luogo della Rete, occorre comunque approfondire le relazioni e i concetti. Internet è uno strumento importante che bisogna conoscere, proprio per evitare di cadere nell’errore di pensare che la tecnologia può rispondere tout court a qualsiasi domanda.