Cento pannelli, 633 santini, 138 immagini. Un lavoro da collezionisti, ma con l’intento di seguire le tracce del «profumo di santità» che aleggia in Calabria. «Le immaginette sacre sono uno strumento efficacissimo per scoprire come la devozione segua i popoli anche al di là degli oceani», spiega Demetrio Guzzardi, l’editore cosentino che ha raccolto anni di studi e di passione nella mostra «Santi, santità e santini di Calabria», presentata per la prima volta un anno fa a Camigliatello Silano, nell’ambito della seconda Settimana della cultura calabrese, e allestita poi in diversi paesi della regione, tra i quali Briatico, in provincia di Vibo Valentia, dove è stata accolta dal vescovo di Mileto-Nicotera-Tropea, Luigi Renzo. Ora, dopo aver fatto tappa tra l’altro a Cosenza, Catanzaro e Lamezia Terme, verrà allestita dal 3 all’11 luglio a Cetraro, in provincia di Cosenza, in occasione della Settimana della cultura benedettina: a inaugurarla sarà il vescovo di San Marco Argentano-Scalea, Leonardo Bonanno. Poi, ad agosto, sarà al centro della Settimana della santità calabrese in programma a Belvedere Marittimo.
A ispirare il lavoro di Guzzardi è stato un sacerdote scalabriniano, Maffeo Pretto, studioso di pietà popolare. «Dopo il 1200 – dice il religioso – le immagini dei santi incominciano ad assumere la stessa funzione delle reliquie. L’immagine è già una presenza personale del santo: la si tocca, la si bacia, si rimane estatici a guardarla, ci si entusiasma quando appare, la si accompagna per le vie del paese». Ma l’immagine sacra, secondo padre Pretto, diventa anche segno di appartenenza a una comunità. E infatti alla fine del XIX secolo gli emigranti portavano con sé il santino della Madonna o del patrono del proprio paese. È così che la devozione cresciuta nei borghi calabresi ha raggiunto tutto il mondo. A Buenos Aires, ad esempio, la gente arrivata da Cariati, cittadina dello Jonio cosentino, fece riprodurre il «proprio» san Cataldo su un gonfalone e quell’immagine, portata in processione ogni anno, divenne familiare anche in Argentina. Gli emigranti di Bonifati, centro del litorale tirrenico, fecero invece una colletta per commissionare la scultura di una statua della Vergine del Rosario uguale a quella riprodotta sul santino portato dalla terra natia. E c’è una lettera, datata 1911, che proprio da Briatico accompagnava l’invio di immagini sacre agli emigrati, con l’invito a distribuirle ai loro nuovi concittadini. «I nostri nonni avevano inconsapevolmente fatto un’opera di inculturazione della fede e lanciato un nuovo modo di intendere l’appartenenza alla Chiesa» afferma Guzzardi. E sulla loro scia, l’editore cosentino è voluto partire nella raccolta di questi santini «poveri», molti dei quali restavano in bianco e nero perché la gente non poteva affrontare grandi spese e perché la stampa veniva effettuata in poche migliaia di copie, una quantità che rendeva proibitivo ricorrere alle tecniche necessarie per l’uso del colore, riservate invece alle riproduzioni da collezionisti. Ne è venuto fuori un lavoro enorme, che nella mostra e nel catalogo che la descrive - edito da Progetto 2000 - è stato organizzato in capitoli, partendo dalla storia del santino e arrivando alle personalità del XX secolo che hanno illuminato la Chiesa calabrese, dai laici ai fondatori e fondatrici di congregazioni. Ma prima di addentrarsi tra i pannelli della mostra, i visitatori trovano una valigia di cartone, una di quelle che gli emigranti portavano con sé. «È lì dentro – commenta Guzzardi – che i santini hanno acquisito un ruolo nuovo». Lo descrive nella prefazione del catalogo monsignor Ignazio Schinella, docente alla Pontificia facoltà teologica dell’Italia meridionale: quelle immaginette, afferma, narrano il «colloquio » tra lo Spirito Santo e il popolo calabrese, che è stato chiamato «a contribuire all’umanizzazione della terra con la sua santità regionale».