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Fiore

«Il mancato rispetto della legge ha meritato la condanna; e la privazione della libertà è la forma più pesante della pena che si sconta, perché tocca la persona nel suo nucleo più intimo. Eppure, la speranza non può venire meno. Una cosa, infatti, è ciò che meritiamo per il male compiuto; altra cosa, invece, è il “respiro” della speranza, che non può essere soffocato da niente e da nessuno» (Francesco, Omelia, 6 novembre 2016). In occasione del Giubileo straordinario della misericordia papa Francesco ha ricordato ancora una volta l’importanza di non sottrarre la speranza e la fiducia nel domani a chi ha commesso errori, a chi ha intrapreso il cammino sbagliato. Il cinema ha proposto in più di un’occasione riflessioni sul carcere, sulla vita dei detenuti, senza sconti ma anche con sguardo pieno di tenerezza. È da ricordare ad esempio l’opera dei fratelli Paolo e Vittorio Taviani Cesare deve morire, Orso d’oro al Festival di Berlino nel 2012. Ultimo in ordine di tempo è Fiore (2016) di Claudio Giovannesi, scelto come decima proposta dell’Ufficio Nazionale per le Comunicazioni Sociali e dalla Commissione Nazionale Valutazione Film CEI per il ciclo dedicato alla 51a Giornata Mondiale delle Comunicazioni.
 
Fiore, i sogni di ragazzi oltre le sbarre
Presentato alla 48. Quinzaine des réalisateurs - Festival di Cannes 2016 e candidato a 7 David di Donatello nel 2017 – Miglior attore non protagonista Valerio Mastandrea – nonché scelto come film della critica dal Sindacato Nazionale Critici Cinematografici Italiani, Fiore di Claudio Giovannesi è un racconto di giovani sbagliati, di ragazzi inciampati nella delinquenza e finiti fuori strada. È anche una storia di solitudini che si muovono in cerca di tenerezza e conforto, per i quali sembra non esserci opportunità di riscatto. Fiore, girato in maniera asciutta e diretta, regala inoltre un ritorno di speranza, uno squarcio di leggerezza che si presenta nelle vite dei protagonisti. Ma veniamo alla storia. Daphne (Daphne Scoccia) è un’adolescente sbandata, che soffre per un rapporto mancato con il padre (Valerio Mastandrea), immerso in una nuova vita, in una nuova famiglia. La ragazza si lascia andare a piccoli furti e viene arrestata, spedita in un carcere minorile. La vita dietro le sbarre è amara e dolorosa; tutto è grigio, uno spazio pieno di sofferenza. A rischiarare però l’orizzonte è l’incontro con un altro detenuto, Josh (Josciua Algeri, scomparso prematuramente all’inizio del 2017): è l’arrivo così della tenerezza, l’incontro con l’amore. I due si guardano attraverso le sbarre, si scrivono, sognano addirittura la fuga insieme, inseguendo un sogno di normalità.
Due attori indovinati, Daphne Scoccia e Josciua Algeri, generosi e genuini, capaci di dare spessore e autenticità ai loro personaggi grazie all’abilità registica di Claudio Giovannesi. Il regista nella sua giovane carriera – Fratelli d’Italia (2009), Alì ha gli occhi azzurri (2012) – ha dimostrato di saper guidare con efficacia gli attori, soprattutto alle prime armi. Giovannesi rivela inoltre un chiaro talento narrativo – è autore della sceneggiatura insieme a Filippo Gravino e Antonella Lattanzi –, nel prendere una piccola storia e svilupparla in maniera originale, con spunti validi di riflessione. È uno sguardo infatti sui giovani dispersi, presentati con realismo e dolcezza; vite graffiate sulle quali è ancora possibile scommettere.
 
Valutazione Pastorale Commissione Nazionale Valutazione Film
Esordiente nel 2007 con Welcome Bucarest, in curriculum già alcuni titoli interessanti come La casa sulle nuvole, 2009, Fratelli d'Italia, 2009, Alì ha gli occhi azzurri, 2012, Claudio Giovannesi fa, col film di oggi, un bello e promettente passo avanti. La vicenda di un lui e di una lei, ragazzi alla deriva che si incontrano dietro le sbarre diventa da subito un dramma autentico e reale, capace di far andare di pari passo rabbia e volontà di reazione, rassegnazione e riscatto. Macchina a spalla che segue implacabilmente i protagonisti, scatto nervoso che pedina ogni movimento, l'occhio del regista non prevarica e non soffoca, lascia anzi che lo slancio giovanile di due ragazzi si esplichi in un vigore e in una carica vitalistica difficili da tenere a freno. Giovannesi non ha paura di confondersi con il documentario, con la pulizia del 'vero', non c'è bisogno infatti di denunciare o di indicare colpevoli. Le parole sono negli occhi di chi guarda, anche delle sorveglianti (vedere quel gesto doloroso ma necessario della bomboniera sequestrata come oggetto 'estraneo'); donne con un lavoro difficile e obbligato; spazi chiusi, aria sottratta, estremo bisogno di alternativa. La vita quotidiana, la festa della mezzanotte, il sogno di un altro mondo, infine il pranzo sul mare, l'illusione dell'aria aperta, la fuga. E poi di nuovo i due nascosti sul treno, il silenzio premonitore della colpa che non fa sconti, il futuro che riprenderà ma chissà quando e dove. Non fa pietismi, Giovannesi, non cede a buonismi o soluzioni di circostanza. Secco, doloroso, non riconciliato, il film porta su di se la giusta colpa e sta dalla parte di chi comunque prova a ribellarsi, a non rassegnarsi, a gridare la voglia di libertà. Reso più autentico da due interpreti di eccezionale spontaneità, il film, dal punto di vista pastorale, è da valutare come consigliabile, problematico e adatto per dibattiti.
 


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