UFFICIO NAZIONALE PER LE COMUNICAZIONI SOCIALI
DELLA CONFERENZA EPISCOPALE ITALIANA

Politica, un tweet non basta

Avvenire approfondisce, anche con il sociologo Giuseppe De Rita, il tema della crescente frequentazione dei social network da parte dei leader politici. La comunicazione certamente si evolve e chi fa politica si adegua… ma elaborazione e contatto umano rimangono ingredienti essenziali e non surrogabili
28 Marzo 2012
«Metta pure che io sono uno del Novecento mentre qui ­mi pare - si parla della comunicazione del Due­mila. Ma a mio avviso la politica è un’altra cosa». Giuseppe De Rita, tra i fondatori del Censis e da sempre analista del 'Si­stema Italia', è piuttosto drastico sull’esplosione dei social network nella comunicazione politica. «Le racconterò un episo­dio. Di quando Adriano Ossicini, accusato di es­sere un gruppettaro cat­tocomunista, incontrò De Gasperi che andò a trovarlo al Fatebenefra­telli, dove lavorava, sul­l’Isola Tiberina, e gli dis­se di prepararsi alla nuo­va era da costruire insie­me. Pensi quanto era profetico quell’incontro, si era nel 1939-40 e già si guardava alla fine del fa­scismo. E non a caso l’O­vra sorvegliava...».

Oggi invece, lei dice, ci farebbero un tweet, «sia­mo tutti qui»...
Guardi, non sottovaluto ruolo e funzione dei nuovi strumenti. Ma la politica non può andare dietro al giorno per gior­no, o all’ora per ora cui siamo arrivati. C’è biso­gno di elaborazione, di preparazione. Di comu­nicazione verticale, in­somma, più che orizzon­tale.

Viene in mente il di­scorso che a volte si fa sui genitori. Sul fatto che quando non ci so­no valori da comunica­re si pensa di sopperire facendo gli amiconi, con i figli.
È esattamente così. Nes­suno più di me ha cre­duto e crede nella comu­nicazione orizzontale, ne ho parlato quando ho descritto i localismi, i rapporti fra imprese, i di­stretti. Ma qui è diverso, si tratta di elaborare un pensiero alto, di farsi classe dirigente.

I social network non possono aiutare?
Non credo che possano servire a elaborare una linea politica. Sono tan­te molecole, che non fanno un disegno. Qui c’è da recuperare l’auto­revolezza della politica, da individuare gli obiet­tivi di sviluppo, la di­mensione solenne della legge e quindi del legi­slatore.

I partiti sono in crisi, ul­timamente pare non si abbia neanche idea di che cosa farne dei fi­nanziamenti, come sembra voler dire il ca­so Lusi. Ma allora, come se ne esce?
Teilhard de Chardin in­dicava l’esigenza di an­dare «in alto e in avanti», ricordando le due di­mensioni dello sviluppo. Sono parole di un teolo­go, ma credo possano es­sere applicate anche alla politica, e alla politica di oggi.

Non si tratta anche di u­na nuova possibilità di partecipazione?
La riflessione del web re­sta lì, ha vita effimera, tutto sommato credo l’o­pinione si diffonda an­cora attraverso i giorna­li, che hanno la dimen­sione dell’approfondi­mento.

Ma un tweet oggi non lo invierebbe anche De Ga­speri?
Credo proprio di no. Lui lavorava alla biblioteca vaticana, era amante più del silenzio e dell’elabo­razione.

Silenzio e parola sono e­lementi essenziali della comunicazione, ricorda il Papa. Su Twitter. Vede, c’è anche il Papa, su Twitter...
Quando c’è un messag­gio da comunicare ogni mezzo di comunicazio­ne è utile. Ma non mi pa­re che, in politica, siamo in questa fase. Siamo nel pieno della fase dell’ela­borazione.

Gianfranco Bettetini, da grande sociologo della televisione, ricor­da che i migliori senti­menti sono ancora quelli che non possono essere veicolati media­ticamente. Questo vale anche per la Rete e per la politica?
La politica è anche «e­mozione collettiva», ci ri­corda ancora una volta De Gasperi. E in quanto tale non si trasferisce at­traverso i social network. Che sono utili, ma non possono sostituire il con­tatto umano, gli incontri, i raduni, e il confronto fra uomini in carne ed ossa.