UFFICIO NAZIONALE PER LE COMUNICAZIONI SOCIALI
DELLA CONFERENZA EPISCOPALE ITALIANA

Quando Gesù si incontra al cinema

Fin dai primi anni del Novecento il cinema si è confrontato con il testo sacro e in particolare con la passione di Cristo. La Passion de Notre-Seigneur Jésus Christ (1905) di Ferdinand Zecca e il Christus (1916) di Giulio Antamoro, fino agli adattamenti hollywoodiani che con film biografici dal contenuto fortemente spettacolarizzato ottengono grandi successi di pubblico.
17 Ottobre 2008

Un dato è comunque certo:  sono molti gli autori che hanno esplorato con consapevolezza le possibilità di restituire la figura di Cristo attraverso il cinema:  va innanzitutto citato Pier Paolo Pasolini dell'intenso Vangelo secondo Matteo (1964), quindi il più illustrativo Gesù di Nazareth (1977) di Franco Zeffirelli o il più tardo, e controverso, The Last Temptation of Christ (1988) di Martin Scorsese, fino al recente I giardini dell'Eden (1998) di Alessandro D'Alatri.
Seppure per incursioni esemplari, la storia del cinema ci consegna molte traduzioni del testo biblico ciascuna delle quali offre una propria singolarità e caratteristica, ma che, insieme, presentano il complesso nodo del passaggio dal testo scritto a un testo audiovisivo, opera di vera e propria traduzione o meglio trasmutazione fatta di selezione e ampliamento, di risonanze segrete di alcuni momenti narrativi.
In fondo è quanto avvenuto per la Bibbia:  è lunga l'esistenza e feconda la vivacità prima di giungere al testo nel quale le comunità hanno fissato la presenza singolarissima di Dio nella loro vita. Racconti corali e poi liturgici, frammenti di storie scritti e insieme di norme. Processo di riscrittura e selezione; operazioni nelle quale a volte si è enfatizzato altre omesso fino a giungere a riconoscere tra i molti, solo alcuni testi come ispirati da Dio.
L'opera di traduzione del racconto biblico nella storia delle generazioni è divenuta pedagogia per cercare negli eventi della contemporaneità i segni della storia di salvezza. Per tale motivo "va dato perciò largo spazio, - afferma l'Instrumentum laboris per la xii Assemblea generale ordinaria del Sinodo dei vescovi - con sapiente equilibrio, ai metodi e alle nuove forme di linguaggio e comunicazione nella trasmissione della Parola di Dio, come sono:  radio, tv, teatro, cinema, musica e canzoni, fino ai nuovi media, come cd, dvd, internet, eccetera. Non si dimentichi però che il buon uso dei media richiede agli operatori pastorali serio impegno e competenza" (53). Non sono mancate forme di riscrittura del testo biblico:  dalle grandi catechesi visive alle sacre rappresentazioni, dalle opere musicali alle progettazioni architettoniche.
Un aspetto da non dimenticare è che oggi, per molte persone, un film cosiddetto biblico, spesso diviene e, purtroppo rimane, l'unico punto di contatto con il testo sacro - pensiamo per esempio come, nel mondo della fiction televisiva, il progetto della Bibbia firmata Lux Vide abbia di fatto dato accesso al Libro sacro a milioni di spettatori - anche perché vanno tenuti presenti alcuni aspetti critici come afferma l'Instrumentum laboris:  "La difficoltà di leggere, in quanto persiste l'analfabetismo in varie parti; l'apprendimento per molti avviene perlopiù tramite canali visivi e auditivi, quindi rapidi e frammentati; in certe parti del mondo, infine, la cultura religiosa dominante non ha per riferimento immediato il Libro sacro" (46). Da questo punto di vista l'urgenza educativa è fondamentale per il fatto che in situazioni nelle quali il confronto tra riscrittura audiovisiva e testo sacro originale non sia possibile, il film diviene sia emotivamente che cognitivamente un vero e proprio originale.
Accostarsi a una riscrittura audiovisiva del testo biblico permette da una parte di evidenziare alcuni aspetti inediti, dall'altro di tematizzare alcuni tratti del periodo storico in cui l'opera filmica è stata progettata e prodotta.
Pensiamo, da una parte, per esempio alla morte di Gesù in croce nel film di Pasolini girata tutta in "soggettiva" dalla parte di Maria - interpretata dalla madre reale del poeta friulano - dall'altra alle differenze di contesti sociali e culturali che hanno generato prima Ricotta (1963) e Il Vangelo secondo Matteo (1964) in Italia e The greatest story ever told (1965) di George Stevens, oltre oceano.
Il testo sacro è stato fin dalle origini saccheggiato dalla settima arte ed è necessario individuare alcuni criteri per comprendere e valutare le differenti riscritture audiovisive. Si tratta di comprendere le condizioni di traduzione a cui è connesso il concetto di fedeltà, postulato astratto e rigido, spesso coagulato in una dipendenza normativa dall'originale che non si tramuta in un principio formale né in un altro funzionale.
È forse il caso di precisare cosa si intenda per traduzione interlinguistica e traduzione intralinguistica:  la prima, che chiamiamo semplicemente traduzione, consiste nel trasferire in una lingua un testo precedentemente formulato in un'altra; la seconda fa riferimento al processo rischioso ma necessario dello sviluppo, per cause diacroniche, di testi datati. Se già a questi primi accenni si comprende la portata dell'operazione di traduzione, essa diviene quasi utopia quando si parla di trasmutazione ovvero il passaggio da un sistema segnico a un altro sistema, dal testo scritto (la Bibbia) al testo audiovisivo (il film).
È il linguista russo Roman Jakobson che ci viene in aiuto. Per lo studioso, nel suo saggio Aspetti linguistici della traduzione, "la traduzione intersemiotica o trasmutazione consiste nell'interpretazione dei segni linguistici per mezzo di sistemi di segni non linguistici". Forse questa definizione ci aiuta a costruire quella mappa di criteri valutativi delle molte riscritture audiovisive del testo sacro. Jakobson istituisce la corrispondenza tra traduzione e interpretazione:  colui che traduce è dunque primariamente un interprete e l'esito, la traduzione vera e propria, non è mai copia identica dell'originale. Del resto le Scritture non esigono un raggelato atteggiamento di rispetto, ma un confronto attivo con noi e la nostra vita. Tradurre dunque significa reinterpretare la stessa modalità di rappresentare la realtà, considerare gli scenari culturali entro i quali i differenti testi, quello originario e quello conclusivo, sono stati generati, fare i conti con quella che Umberto Eco chiama enciclopedia generale di un'epoca e di un autore.
Il problema della traduzione ha adunato le discussioni attorno al concetto di fedeltà come abbiamo già accennato. Parlare ora di fedeltà significa collocare il discorso anzitutto all'interno di un processo dinamico e complesso che muove continuamente tra due poli:  da una parte il testo originario e dall'altra le novità delle riscritture.
Tradurre la Bibbia in un film o in un'opera audiovisiva significa anzitutto costruire rimandi, occasionare aperture, squarci che permettano, all'attento sguardo spettatoriale, di oltrepassare i segni. Il contrario di tale atteggiamento è quello, invece, del segno idolatrico per cui un film diviene dispositivo testuale incapace di rimando all'emittente originario che è Dio così come è avvenuto per la corruzione del sogno del re Nabuccodonosor che, mentre professa "Veramente il vostro Dio è il Dio degli dei" (Daniele, 2, 27) attiva uno sguardo possessivo adorando Daniele, facendolo proprio idolo.
Vale la pena, a questo punto, ricordare almeno una possibilità di accesso al dispositivo testuale cinematografico. In particolare richiamo l'attenzione, dal punto di vista semiologico, al momento-soglia di un testo che per i film sono costituiti dai titoli. Il titolo, sia di un libro della Bibbia che di un film, non è un dettaglio. Il titolo di un film nasce da un rapporto intimo con il testo originale. Svela le intenzioni, orienta lo sguardo dello spettatore.
In questo caso la titolazione del suo film da parte di Pasolini, Il Vangelo secondo Matteo (Italia 1964) indica allo spettatore, senza ambiguità, che si tratta di uno degli sguardi su Gesù che la Chiesa ha inserito nel canone delle Scritture. Non si tratta del Gesù di Pasolini, quanto piuttosto l'ambizione pretesa di fedeltà al Nuovo Testamento. Il testo biblico è punto di partenza e punto di arrivo.
Diversa la situazione del film di Zeffirelli, Gesù di Nazareth. La titolazione indica uno spazio geografico, e un tempo:  Nazareth. Ovvero il racconto, unitario e non polifonico, del Gesù della storia privo delle fastidiose incoerenze narrative che sono invece altrettanti disvelamenti della verità del Maestro.
Non mancano autori che dichiarano di volersi confrontare con le pagine della Bibbia e la storia di Gesù. I brevi accenni alla storia del cinema cristologico attestano la complessità dell'operazione di trasmutazione come anche i rischi, a volte assai problematici, a cui si può andare incontro. Probabilmente nel tempo della tarda modernità in cui viene meno la simbolica culturale di un cristianesimo geografico, può risultare proficuo, in termini di guadagno teorico, muoversi nel vasto territorio di quelle che potremmo chiamare "figurazioni paraboliche" della vicenda Figlio di Dio. L'interpretazione che si rende possibile a partire dalla cifra parabolica si compone di una serie di corrispondenze che diventano armoniche per un senso aggiunto. "Parabola" è anche un termine geometrico che indica una traiettoria, un percorso il quale, nel senso che a noi più interessa, va interpretato come progressivo avvicinamento a una verità ineffabile che passa per riferimenti alla realtà più concreta ed evidente. Del resto, se la cultura, come afferma Edward B. Tylor, "è quel complesso insieme, quella totalità, che comprende la conoscenza, le credenze, l'arte, la morale, il diritto, il costume e qualsiasi altra capacità e abitudine acquisita dall'uomo in quanto membro di una società", la fatica del credente risiede nell'acquisire quello sguardo intenso di chi sa scovare nelle pieghe carsiche della cultura contemporanea quel legame flebile, ma fecondo, tra terra e cielo. Tra la notte fangosa del curato di campagna di Robert Bresson e la diafania conclusiva dello stesso Diario.
di Dario E. Viganò

(©L'Osservatore Romano - 17 ottobre 2008)