UFFICIO NAZIONALE PER LE COMUNICAZIONI SOCIALI
DELLA CONFERENZA EPISCOPALE ITALIANA

Quando la Parola
“abita” il web

L'appuntamento di Macerata a maggio raccoglierà la preziosa eredità di «Testimoni digitali»: «In questo modo», spiega ad Avvenire mons. Domenico Pompili, «rilanceremo la sfida affidataci da Benedetto XVI di dare spazio anche nei nuovi media ai volti e ritrovare la prossimità»
11 Aprile 2011
La consegna era esplicita, impegnativa. All’Aula Paolo VI gremita dai partecipanti al convegno Cei «Testimoni digitali» e dal popolo della comunicazione, ormai un anno fa, Benedetto XVI aveva parlato con chiarezza: nel mondo segnato dalla pervasiva presenza dei media digitali è indispensabile «riconoscere i volti», «superare quelle dinamiche collettive che possono farci smarrire la percezione della profondità delle persone e appiattirci sulla loro superficie». A quell’invito ha fatto seguito un anno d’intenso lavoro animato in tutta Italia dall’Ufficio Nazionale per le comunicazioni sociali. Che ora invita quel «popolo» (direttori di uffici diocesani, responsabili delle comunicazioni e dei media, animatori, Portaparola, blogger...) a fare il punto, dal 19 al 21 maggio a Macerata, al convegno nazionale «Abitanti digitali». Appuntamento del quale il direttore dell’Ufficio, monsignor Domenico Pompili, spiega il valore.

 
 
Da «Testimoni digitali», un anno fa, ad «Abitanti digitali». Qual è il percorso che ha condotto da Roma all’appuntamento di maggio a Macerata?
Un anno non è poca cosa rispetto ai cambiamenti incalzanti della tecnologia. Nel breve intervallo tra «Testimoni digitali» e «Abitanti digitali » – solo per fare un esempio – abbiamo assistito al lancio dell’i-Pad e già anche alla sua nuova versione. L’iPad2 è più leggero, più sottile, più veloce. Ma c’è di più. Se lo scorso anno a Roma si è offerta un’interpretazione della rete non più vista in contrapposizione alla realtà, con l’appuntamento di Macerata vogliamo ora condividere riflessioni ed esperienze ecclesiali rispetto ai modi di «abitare» questo spazio, popolato da tantissimi, giovani e non.
 
Ma che vuol dire «abitare» il web?
Abitare dice una relazione consapevole e stabile, esprime il bisogno di dar forma allo spazio e dunque induce un atteggiamento responsabile, che si fa carico dell’insieme. Si vuole stare nel web non per caso o magari per presidiare, ma per creare occasioni di contatto e di prossimità perché è proprio della Chiesa accorciare le distanze e annullare le estraneità.
 
L’idea di «abitare» nel linguaggio della fede desta profonde evocazioni: l’uomo credente «abita» la Parola, il Creato, Dio stesso «abita » in lui... In che modo siamo chiamati ad «abitare» il digitale?
In passato la Chiesa ha sempre identificato nel perimetro geografico la coordinata fondamentale di una parrocchia. Dietro l’idea dello spazio fisico c’era sottesa la convinzione che solo stando in un territorio se ne imparano i costumi, la lingua, le tendenze e quindi si può procedere a un incontro e quindi all’evangelizzazione. Oggi però lo spazio fisico, lo sappiamo, si è come liquefatto, perfino nei centri di provincia. La rete e in particolare i social network esprimono un bisogno di contatto, di relazione e di incontro che coinvolge tutti. La Chiesa che abita la Parola non può esimersi dal farla risuonare anche dentro questo nuovo spazio umano, che è in attesa di domande autentiche e di verità non caduche.
 
In concreto?
Si tratta di aggiornare... i rintocchi della campana! Come quest’ultima con le sue vibrazioni delimita un territorio, i cui confini coincidono con l’udibilità del suono, così la rete può diventare una forma di prossimità e di vicinanza, che aiuta a costruire o ricostruire l’appartenenza ecclesiale. Oggi la Chiesa deve forse essere meno campanile e più campana!
 
Le comunità virtuali pongono il problema della costruzione di un’identità coerente e solida dentro un ambiente immateriale che sembra sbiadire ogni differenza. «Abitare» il digitale quali virtù richiede?
La vera sfida anche rispetto al web è quella della trascendenza: essere pienamente dentro, ma affacciati su un altrove, essere nel web, ma non del web. L’esperienza della rete è reale e dunque umana; manca però di una dimensione necessaria che è quella fisica, intra-corporea. Non è dunque autosufficiente. Ciò che si chiede è di vigilare perché non si confonda la parte con il tutto e si abbia cura di integrare sempre la dimensione on line e quella off. La Chiesa però non ha paura di smaterializzarsi nel mondo del web per arrivare a farsi percepire da tutti proprio perché è fortemente radicata nei territori fisici e può dunque stare sia nell’una che nell’altra dimensione.
 
L’uso massiccio e inesausto di strumenti e linguaggi della comunicazione interattiva da parte dei giovani sta imponendo all’attenzione di famiglie, scuole e parrocchie l’esigenza di affrontare la questione in termini educativi e non più solo banalmente strumentali. Quali passi devono compiere in particolare gli educatori nella comunità cristiana?
Gli Orientamenti pastorali descrivono lo scenario indotto da internet come un 'nuovo contesto esistenziale', mostrando di aver chiaro che a cambiare non sono solo i linguaggi ma le persone che vivono in essi. I giovani, in particolare, riflettono sulla loro pelle le caratteristiche di questa nuova stagione digitale che sembra privilegiare la comunicazione orizzontale, interattiva, mettendo in discussione il modello della trasmissione a favore di quello dell’incontro. Ma l’educatore non deve farsi spaventare. Dovrà partire dalla capacità di leggere le situazioni e di ascoltare i bisogni manifesti e i desideri latenti per accompagnare verso un percorso di fede che, anche passando attraverso il territorio del virtuale, raggiunga poi la sua consistenza nella dimensione fisica dell’incontro e della condivisione. La fede infatti non è un’idea, né una morale, ma una esperienza, che non rifiuta alcun linguaggio. Neanche quello di ultima generazione.