Riflettere sulla formazione dell’opinione pubblica non è mai banale. Il punto di partenza è in quelle domande che, seppur scontate, sono rivelatrici di diverse complessità e che hanno a che fare con la sua formazione, la sua alimentazione e il suo rapporto con i media (tradizionali e nuovi). Al netto delle diverse analisi, che si sono succedute nei decenni, è evidente che il discorso intercetta tutte quelle distorsioni latenti allo sviluppo tecnologico. Il disordine informativo ne è fenomeno emblematico, cui occorre aggiungere i rischi aperti da un utilizzo non etico dei sistemi di intelligenza artificiale. Nessun allarmismo, quanto invece un sano realismo: l’aggettivo pubblica associato al termine opinione ha volto e nome… è ciascuno di noi. Parlarne aiuta a comprendere il cibo comunicativo e informativo con cui ci alimentiamo e, allo stesso tempo, facciamo crescere il tessuto sociale. È una questione di coscienza e di responsabilità che interpella tutti: comunicatori, giornalisti, produttori di contenuti, utenti. Nessuno escluso! E questo a livello nazionale e internazionale. Lo vediamo ogni giorno con quanto avviene nel mondo. L’urgenza sta nel contrastare l’“analfabetismo di opinioni”.
Vincenzo