UFFICIO NAZIONALE PER LE COMUNICAZIONI SOCIALI
DELLA CONFERENZA EPISCOPALE ITALIANA

Reti sociali, ambienti da abitare

Dal Portaparola di Avvenire del 29 gennaio, vi proponiamo il parere di due esperti di social media e pastorale, il Prof. Pier Cesare Rivoltella (Università Cattolica) e Don Marco Mori (Presidente del FOI) sul ruolo che gli educatori devono avere nell'accompagnare i nativi digitali nell'uso delle reti sociali.
29 Gennaio 2013

«Officine nelle parrocchie per un uso responsabile»

«Proibire no, accompagnare sì». Don Marco Mori, presidente del Foi (Forum oratori italiani) è convinto che l’uso delle reti sociali possa rappresentare un arricchimento per i ragazzi. A patto però che gli adulti svolgano il loro compito.
È opportuno che un ragazzo abbia accesso libero ai social network?
Non consentire l’utilizzo di questi strumenti da parte dell’adulto non può rappresentare una soluzione educativa ideale. È necessario, invece, ragionare assieme al giovane sulle potenzialità e i rischi. L’apertura di un profilo su Facebook o l’uso di Twitter non sono azioni che devono spaventare i genitori. Il punto, semmai, è verificare che il proprio figlio non si approcci al Web senza uno scopo, in modo superficiale o morboso a tal punto da escludere le relazioni reali. Per questo motivo le parrocchie dovrebbero aprire delle vere e proprie «officine» sui social network. Con percorsi formativi in grado di rendere i ragazzi protagonisti di questi nuovi mezzi di comunicazione e di usarli in modo capace, creativo, intelligente e responsabile.
Qual è oggi il compito dell’educatore?
Gli educatori devono essere ancora più capaci di instaurare relazioni vere. È ovvio che i nostri ragazzi sono portati a relazionarsi nel virtuale. Ma proprio in virtù di tale comportamento restano poi affascinati dai legami reali e autentici. Sono questi rapporti a fornire le chiavi di lettura per ogni tipologia di comunicazione. Per accompagnarli nel virtuale occorre prima educarli a distinguere i diversi piani delle relazioni.
Quali ricadute può avere l’utilizzo delle nuove tecnologie sull’esperienza di fede?
Sono convinto che la Rete non serva direttamente per l’annuncio, come suggerisce il Papa. La fede ha bisogno di crescere dentro la comunità e non su Internet. Ma il Web può fornire un aiuto educativo aggiuntivo se la relazione virtuale è preceduta da un vissuto o si riferisce a fatti realmente accaduti. Utilizzare una chat o Facebook per ricordare un pomeriggio trascorso in oratorio o per confrontarsi su un’esperienza comune come la partecipazione alla Gmg può essere un’opportunità di riallacciare dei rapporti che altrimenti andrebbero persi.

 
«Il tweet apre al mistero È una pacca sulla spalla»
«La funzione educativa? Va effettuata attraverso un governo (e non un controllo), ovvero cercando di instaurare con i giovani una relazione equilibrata e serena». Pier Cesare Rivoltella, docente all’Università Cattolica di Milano di didattica generale e tecnologie dell’educazione, in merito all’utilizzo del Web da parte dei figli, è convinto che i genitori debbano concentrarsi più sulle opportunità che sui rischi.
Professore, allora non bisogna vietare l’uso di questi strumenti agli adolescenti?
Dal punto di vista pedagogico non ha senso. La proibizione, come sempre capita, finisce per alimentare la curiosità e la voglia di trasgredire. Non vietare, però, non significa rinunciare alla funzione educativa. Anzi, deve rappresentare una priorità.
Quali caratteristiche deve avere l’educatore 2.0 per rapportarsi con una generazione di nativi digitali?
Le stesse che da sempre contraddistinguono l’adulto significativo: autorevolezza, credibilità e saggezza. Tre doti che passano necessariamente attraverso la testimonianza. Se sono 'ringhiosamente' attento a quanto tempo trascorre mio figlio su Facebook, non posso poi rendermi raggiungibile al cellulare a qualunque ora per lavoro. L’adulto, per essere credibile, deve mettere in campo comportamenti coerenti. Questi atteggiamenti devono essere affiancati, poi, da una conoscenza degli strumenti.
Le reti sociali possono essere canali di annuncio del Vangelo?
Il binomio tra esperienza di fede e social network si può leggere attraverso due prospettive differenti. La prima è quella che ritiene questi ambienti degli spazi in cui gli individui si cercano. Se partiamo dalla convinzione che la trascendenza sia un’esperienza di uscita da se stessi verso l’altro, allora gli spazi del Web non possono che essere profondamente religiosi. È lì che si manifesta il desiderio di conoscere l’altro. C’è poi un secondo aspetto. Facebook e Twitter per sintesi e velocità consentono di essere utilizzati più volte in una giornata. Così il tweet può diventare la pacca sulla spalla o, evangelicamente parlando, il tocco al lembo del mantello per ricordare agli adolescenti l’importanza della preghiera. Si tratta di strumenti da utilizzare per stimolare una riflessione che poi andrà approfondita altrove.