«Per preparare una predica spesso un sacerdote impiega un quarto d’ora. Per fare uno spot da 30 secondi i pubblicitari lavorano per mesi». Un paradosso, se vogliamo ironico, che ben spiega però come mai i messaggi veicolati dalla pubblicità siano così efficaci e, spesso senza che ce ne accorgiamo, fin troppo persuasivi. Se ne è parlato nei giorni scorsi a Sant’Ivo alla Sapienza, a Roma, durante l’incontro di riflessione organizzato dall’Aiart sul volume «Il libro nero della pubblicità» di Adriano Zanacchi. «La pubblicità condiziona il nostro modo di pensare. Impone modelli culturali linguistici. Stimola desideri che potrebbero avere un’altra connotazione, ci orienta, è prepotente – ha sottolineato il presidente dell’Associazione spettatori Luca Borgomeo –. Gli spot sono fatti benissimo proprio per suscitare interesse e convincerci a comprare ». E per riuscirci «a volte modificano persino i valori e i modelli culturali ». Ecco allora la necessità anche per gli educatori parrocchiali di prenderne coscienza e aiutare i giovani a sapersi liberare dai condizionamenti della pubblicità. «Dobbiamo prendere consapevolezza della complessità del problema riguardo allo sviluppo della persona – ha rimarcato Borgomeo –. Giorno dopo giorno aumenta l’invasività dei media. Su certi soggetti agisce in modo devastante. Spesso si abusa della credulità popolare. L’impianto normativo non è per niente rassicurante. Non siamo fra i Paesi più avanzati ». Non solo ormai gli spot sono «magna pars nella definizione di programmi, ma per quanto riguarda i quotidiani la pubblicità riesce a determinare la scelta editoriale. C’è insomma un orientamento determinato dal grande potere economico finanziario». Problematiche spesso non facili da decifrare e che proprio per questo, per il presidente Aiart «vanno affrontate anche all’interno delle parrocchie», per educare i ragazzi a una visione critica e consapevole dei messaggi commerciali.