Sono cinquant’anni che l’inossidabile mr. Zimmerman scrive e pubblica canzoni. E questo è il suo album di studio numero 35.
Il nostro non è cambiato più di tanto, e procede nel recupero delle radici della musica americana intrapreso da una dozzina d’anni: il vecchio folk e il blues, il rock’n’roll e il country, il rock-blues e il western-swing. Canzoni e suoni poveri e che avrebbero tranquillamente potuto fare la loro figura nei suoi album degli anni Settanta, ma con le viscere pressate dalla tensione di questi tempi tempestosi, anche se per lo più ciò che Dylan racconta appartiene al passato (dalla tragedia del Titanic – da qui il titolo – alla fine di John Lennon). Ballate scure ed abrasive, talora indolenti o scorbutiche, talaltra appassionate, ma sempre sorrette da quella voce più roca e sgraziata che mai, perfino in quegli episodi dall’incedere più micionesco.
Il Dylan del Terzo Millennio, in odor di Nobel e comunque pieno di premi d’ogni genere e di lauree ad honorem, è ancora capace di ruggire e di far sognare. Da quest’anno ha anche appesa al petto la prestigiosa Medaglia Presidenziale per la Libertà, la massima onorificenza civile statunitense. Chi del resto più di lui ha saputa raccontarla, l’America, con i suoi sogni e le sue nevrosi: senza mai schierarsi, se non dalla sua parte, come tutti quelli che piuttosto che rincorrere le mode preferiscono continuare a crearle.
(Franz Coriasco)