Era uno dei ritorni più attesi dell’anno. Mister Andrew Hozier Byrne, classe 1990, nativo di Bray cittadina sulla costa orientale dell’Irlanda, è da qualche anno uno dei personaggi più trendy del rock d’autore contemporaneo.
Aveva fatto il botto nel 2013 con un super hit come Take me to church che l’aveva imposto all’attenzione planetaria, cui era subito seguito un album accolto trionfalmente dalla critica che l’aveva inserito tra i più talentuosi e promettenti cantautori d’ultima generazione.
Da qualche giorno è sui mercati questo second-out: un disco che conferma tutto il talento e il carisma di un song-writer che sa miscelare con sapienza indie-rock e canzone d’autore, soul e gospel. È vero, non c’è in questo nuovo lavoro un singolo potente come quello succitato, ma nel complesso l’album funziona e convince.
Certo non è facile bissare un piccolo capolavoro e infatti qualche critico ha trovato da ridire su queste quattordici nuove canzoni: è, del resto, il prezzo di un esordio troppo eclatante e perfetto per sfuggire ai paragoni e alle accuse di dejà-vu. Ma esaurito l’effetto sorpresa, resta un talento compositivo ed interpretativo sopra la media, cui è da aggiungersi una più matura padronanza dei propri mezzi espressivi. Soprattutto, queste nuove canzoni sono concepite e costruite con cura, sincerità e passione bastanti ad elevarle d’una buona spanna sulla media circostante. Ce ne fossero di artisti e di dischi così…
Franz Coriasco