Il minore dei due fratelli Gallagher, istituzione del brit-rock da quasi un ventennio, torna sulle scene con il suo secondo album solista dopo la roboante e travagliata avventura nel progetto Oasis.
Preceduto dalla pubblicazione di ben quattro brani, costruito da firme importanti dello show-biz contemporaneo - tra questi il Premio Oscar Andrew Wyatt e il pluridecorato di Grammy Greg Kurstin -, il disco offre poco più di 50 minuti di rock vagamente beatlesiano, vagamente neo-psichedelico, vagamente Oasis oriented; e in questo avverbio c’è, in fondo, tutto il senso di un’opera ondivaga e sfuggente fin dal titolo, e tuttavia grintosa e intrigante.
Evidentemente il passare degli anni e il tran-tran da benestante padre di famiglia sta facendo un gran bene all’ex enfant-terrible del rock britannico e, giunto quasi sulla soglia dei cinquanta, ci scodella un disco di ottima fattura che porta nel suo dna gli anni gloriosi degli Oasis, ma anche certi recenti revisionismi esistenziali e uno smarcamento da troppi eccessi giovanili.
Lontano dai suoi demoni, dai capricci, dai tormenti e dalle baruffe di un tempo, Liam pare aver davvero trovato l’ispirazione - e pacatezza interiore - della maturità. Niente di indimenticabile, ovvio: il solito buon vecchio rock’n’roll in salsa modernista, ma proposto con indubbio talento, e col supporto di penne spesso più ispirate della sua; in epoche di vacche magre come questa, non è poco. Certo i fan e la stampa darebbero chissà che per rivederlo in azione con Noel (anche lui in uscita con un nuovo lavoro) e gli altri Oasis, ma per intanto il Nostro qui dimostra di potersela cavare benissimo anche senza di loro.
Franz Coriasco