Il quintetto milanese mancava all'appello discografico da ben quattro anni. Sulle scene dagli albori del Terzo Millennio, ora torna con questa settima avventura in sala d’incisione.
Storie di ordinaria quotidianità o di estremità postmoderne (come la storia d’amore nata in un ospedale psichiatrico), tutte vere, germogliate nei bar di notte, e poi raccontate con le ovvie mediazioni poetiche.
Dopo diciassette anni di onorata carriera Kekko Silvestre e i suoi sodali centrifugano sfoghi e solitudini, il fatalismo del titolo e amori più o meno appassionati. Un nuovo inizio nelle intenzioni, pieno di grinta e d’ottimismo, ma anche consapevole che questo è un valore da conquistare sul campo. Lo stile è un po’ datato, la scrittura prevedibile, i testi banalottti, ma nonostante queste zavorre il disco funziona: le melodie e le interpretazioni sono godibili, il sound piacione. Certo il tutto non basta a non far pensare a loro come a una versione sciapa e quasi dozzinale di band come i Negramaro, ma in fondo questo sono sempre stati. E questo precario equilibrismo tra voglia di rinnovamento e tradizionalismo, tra smanie sociologiche e sentimentalismo, tra semplicismi pop ed energie rockettare, rappresentano anche – e da sempre - la cifra della loro espressività.
Come per molti competitor del resto, Testa o croce serve soprattutto a risvegliare e a stuzzicare il loro pubblico per il prossimo tour: debutto il 2 dicembre a Bologna, chiusura a fine marzo al Forum di Assago.
Franz Coriasco