Il jazz non è uno stile, ma piuttosto uno stato d’animo. Per questo continua a rinnovarsi nel tempo, in infiniti linguaggi diversi, e senza mai perdere la propria ragion d’essere. Non so se i leggendari caposcuola del passato che hanno reso grande questa musica apprezzino questo tipo di reinterpretazioni, ma immagino di sì, almeno molti di loro.
Certo il signor Glasper non è Duke Ellington e nemmeno John Coltrane, ma solo un ottimo jazzista del terzo millennio; così il suo stile è contaminato dai ritmi hip-hop e dal funky, dal rock e dal rhythm’n’blues, ma ha radici antiche che affondano i loro terminali nei terreni sempre fertili del blues e del gospel sui quali è cresciuto nella sua Houston.
Intorno alle sue tastiere un manipolo di eccellenti musicisti di contorno e un parterre de rois di vocalist stellari come Erykah Badu, Bilal, Mos Def, Meshell Ndegeocello, e molti altri modernisti del pop contemporaneo. Il risultato è notevole: dodici frammenti d’atmosfera assai sofisticata e intima che l’artista texano offre secondo una ricetta non lontana da quella dei mitici Steely Dan.
Per orecchie raffinate ed esigenti.
(Franz Coriasco)