Un gran bel disco, il ritorno di questo songwriter di Jacksonville.
Stilisticamente vario, piacente, blueseggiante e rockettaro, è uno di quegli album che ricorderemo e riascolteremo a lungo. Dentro fremono e ribollono tanti degli ingredienti tipici di quest’ambito: la vocalità ruspante del Nostro (a mezza via tra Joe Cocker e Springsteen), echi soul e possenze ritmiche, chitarre sferzanti.
Siamo dunque nel pieno dell’ortodossia rockettara, ma nel disco si specchiano soprattutto i riflessi di un travaglio esistenziale autobiografico (Ryan ha un recente e doloroso divorzio alle spalle) che aggiungono profondità e pathos alle nuove canzoni.
Qui in Italia Adams - da non confondere con il quasi omonimo e ben più celebre Brian - è ancora un artista per pochi, ma nonostante non sia più un ragazzino (è nato nel ’74 e questo è il suo sedicesimo album) è nel pieno della sua maturità artistica e ben lo dimostrano queste canzoni, capaci di passare dalle orecchie al cuore fin dal primo ascolto. In questo senso Prisoner si propone come un eccellente biglietto da visita per chi ancora non lo conoscesse.
(Franz Coriasco)