Se cercate qualcosa di totalmente estraneo alle offerte del pop balneare che impazzano in queste settimane, consiglio di buttar l’orecchio all’impervio ritorno solista di Thom Yorke: nove brani per poco più di trequarti d’ora di musica rarefatta, ipnotica, straniante.
Ne escono sempre meno di dischi così avulsi dai diktat dei mercati, e ancor più rari sono quelli che riescono a conquistarsi un posto nei quartieri alti delle classifiche. York c’è riuscito in virtù di un blasone invidiabile e di una credibilità artistica accumulata in decenni di rigore e coerenza espressiva, sia da solo che coi Radiohead di cui è stato da sempre il leader carismatico.
“Uno spazio contemplativo della condizione d’ansia in cui viviamo”: così l’autorevole sito Rockol ha definito questa sesta avventura solista dell’artista britannico. Campionamenti elettronici, loop, immersioni sonore che dilatano, stravolgono, polverizzano i concetti canonici di canzone per offrire un racconto distopico dell’oggi. E sullo sfondo, sottinteso dal titolo, uno dei grandi enigmi antropologici che ci aspettano dietro l’angolo: che rapporto avremo con l’intelligenza artificiale?
Yorke è un’artista e questo suo nuovo lavoro solista non da’ risposte, ma costringe ad immergersi in questo interrogativo accompagnati da un atmosfera sonora tracimante di suggestioni.
Franz Coriasco