Esistono dischi con un fascino sottile, l’esatto opposto dei sensazionalismi che intasano gli streaming e le playlist.
Morabeza, l’elegantissimo ritorno discografico di Tosca appartiene in pieno a codesta razza: roba per orecchie raffinate, bisognose di nutrimento da trasferire all’anima e al cervello, più che alla pancia o alle gambe.
Canzoni soffuse, delicate e gentili, cantate spesso sottovoce: un sottofondo perfetto per una serata intima, da ascoltare e riascoltare in una quiete autunnale, preferibilmente di sera.
“E il modo che ho scelto per tradurre in canto il puro piacere dell’ascolto ha spiegato -con l’unica volontà di unire le sole emozioni alle note e alle parole”.
Prodotto e arrangiato da un musicista a lei totalmente affine come Joe Barbieri, questo suo decimo album ribadisce la vocazione cosmopolita di Tosca Donati, che qui incrocia la sua verve interpretativa con una manciata di stelle stilisticamente e culturalmente insieme vicine e lontane dal suo mondo: i brasiliani Ivan Lins, Lenine, e Arnaldo Antunes, le francesi Cyrille Aimée e Awa Ly (di origini senegalesi), la portoghese Luisa Sobral, il tunisino Lofti Bouchnak. Un disco poliglotta, dove si spazia con naturalezza dal romanesco al francese, dal portoghese all’arabo. E il titolo è già di per sé una chiave di lettura di queste canzoni: in lingua creola esprime un umore a mezza via tra la soudade e l’alegria, tra la malinconia e la gioia di vivere. E ciò è esattamente ciò che comunicano queste dodici canzoni, attraverso spruzzate di jazz notturno o di swing, un po’ di folk d’autore, e una voce sempre misurata e emozionante.
Uno di quei dischi necessari ma che non han bisogno di proclamarsi tali, e che non hanno altra pretesa che di svelarsi a chi li merita.
Franz Coriasco