UFFICIO NAZIONALE PER LE COMUNICAZIONI SOCIALI
DELLA CONFERENZA EPISCOPALE ITALIANA

Samaritani del web

Un Messaggio per tutti, quello della prossima Giornata Mondiale delle Comunicazioni Sociali. Avvenire ha chiesto ad alcuni addetti ai lavori di sottolinearne la singolare ricchezza pastorale ed educativa. Vi proponiamo le voci raccolte dal quotidiano dei cattolici italiani nella pagina del "Portaparola" di martedì 28 gennaio.
28 Gennaio 2014

«Oggi viviamo in un mondo che sta diventando sempre più 'piccolo' e dove, quindi, sembre­rebbe essere facile farsi prossimi gli uni agli al­tri». Da queste parole prende avvio il ragionamento col qua­le papa Bergoglio ha consegnato alla Chiesa giovedì scorso il suo primo messaggio per una Giornata mondiale delle co­municazioni sociali, quella in programma il 1° giugno 2014, che il Pontefice ha pensato dedicata al tema «Comunica­zione al servizio di un’autentica cultura dell’incontro». Le riflessioni contenute nel messaggio sono imperniate attorno a un’originale rilettura della parabola del buon samaritano in chiave culturale e mediatica. Un testo tutt’altro che per so­li addetti ai lavori e che, proprio nel commento delle frasi­ chiave che Avvenire ha affidato ad alcuni di loro, offre alcuni spraz­zi della sua singolare ricchezza pastorale ed educativa. Ecco le voci raccolte dal quotidiano dei cattolici nella pagina del Portaparola di martedì 28 gennaio.

Essere connessi, occasione formidabile per metterci in gioco. E raggiungere chi ha bisogno
«Non basta passare lungo le 'strade' digitali, cioè semplicemente essere connessi: oc­corre che la connessione sia accompagnata dall’incontro vero». Quale stile nell’abitare la Rete? Il messaggio del Papa ricorda che il mondo digita­le può essere «un luogo ricco di umanità, non una rete di fili ma di persone u­mane ». Percorrere le strade digitali deve essere un modo per aprirci all’incontro con l’altro e non un mezzo per stare soli. «Abbiamo bisogno di amare ed essere amati, di tenerezza», aggiunge Francesco. Siamo chiamati a non ridurre Internet a pura tecnologia, ma a consi­derarlo come un’occasione formidabile per mettere in gioco noi stessi e mostrarci autentici. Solo così chi comunica può diventare punto di riferimento nel Web. In quest’ottica, co­municare rappresenta una sfida anche per le nostre Chiese locali che attra­verso i media possono testimoniare la bellezza del Vangelo e raggiungere chi è alla ricerca di speranza o chi ha bisogno di una parola di conforto.
Marco Piras, direttore «L’Arborense», Oristano

Accendiamo il cuore
«Anche nel contesto della comunicazione serve una Chiesa che riesca a portare calore, ad accendere il cuore». Questa è la Chiesa che Francesco desidera costruire. Ma prima del Papa è il Vangelo a chiedercelo. Cosa fa ardere il cuore dei discepo­li di Emmaus? La spiegazione delle Scritture che Gesù offre loro sta, prima ancora, nell’aver trovato una persona pronta a condividere il cam­mino con loro che erano incapaci di capire chi fosse il Nazareno. Il Papa ci chiede di cam­minare incontrando le persone, spesso ferite, che affollano le strade digitali raggiungendo­le «affettivamente», disposti ad ammaccarci. Qualcuno, dopo aver sperimentato che la Chie­sa è casa di tutti, potrà esclamare, come i due personaggi tristi del racconto evangelico, «re­sta con noi!», dimostrando di aver trovato la speranza. Un incontro, quello con Gesù nella Chiesa-ospedale da campo, che dà una gioia talmente grande da doverla condividere.
Don Claudio Tracanna, portavoce diocesi dell’Aquila

Coinvolgerci, premessa per incontrare
«Come allora la comunicazione può essere a servizio di un’autentica cul­tura dell’incontro?». Comunicare è un atto origina­rio che nasce dalla necessità di porsi in relazione con l’altro e trova una delle sue massime espressioni nel momento del bisogno. Tornano alla mente quei momenti in cui ab­biamo sentito la necessità di comunicare la nostra sof­ferenza all’altro per trovarvi conforto. E quante volte ci siamo sentiti sostenuti da ciò che ci è stato detto, anche una semplice parola. Ma siamo stati poi in grado di por­ci dalla parte dell’ascolto, rimanendo com-mossi dalle difficoltà di chi è nella prova, tanto da coinvolgerci per aiutarlo? Questa domanda esige una risposta: la nostra. Francesco chiede che la comunicazione diventi stru­mento di prossimità e pone l’accento proprio sul fatto che l’interrogazione dello scriba «chi è il mio prossimo?» debba diventare responsabilità di farsi prossimo. È una consapevolezza nuova che deve muoverci verso l’altro: quella di riconoscere che Qualcuno ci è venuto incon­tro abbracciando la nostra umanità.
Monica Olati, Portaparola diocesi di Milano

Nelle difficoltà stiamo accanto alla gente
«Internet può offrire maggiori possi­bilità di incontro e di solidarietà tra tut­ti, e questa è una cosa buona, è un do­no di Dio». Le parole del Papa ci aiutano a di­pingere ciò che sul territorio stia­mo vivendo, dal terremoto del 2012 e oggi con l’al­luvione che ha lambito la diocesi di Carpi, danneggiando un’ampia area dell’arcidiocesi di Modena. Di fronte alle difficoltà di molti media nazionali nel riportare corretta­mente le notizie, a livello locale vecchi e nuovi mezzi di co­municazione, come un unico corpo, si sono messi a sevi­zio dei bisogni della gente sia raccontando, sia contri­buendo essi stessi a far crescere quel senso di unità che, al di là di tante differenze, continua a contraddistinguere gli emiliani. Dai quotidiani locali, alle tv, al Web, sono nate ca­tene di solidarietà autentica, collaborazioni, amicizie. La cultura dell’incontro porta con sé il rischio dello scontro, ma nella pluralità dei mezzi, salvaguardando la specifica finalità di ciascuno, è possibile stemperare questa tensio­ne. In una terra così duramente provata comunicare bene non significa più solo informare correttamente, ma ri­spondere alla domanda su chi è il nostro prossimo.
Benedetta Bellocchio, portavoce diocesi Carpi

Una ricchezza ma per chi sa dove andare
«La varietà delle opinioni espresse può es­sere percepita come ricchezza, ma è anche possibile chiudersi in una sfera di informa­zioni che corrispondono solo alle nostre at­tese e alle nostre idee». «Internet: dono di Dio». È con questo sguardo che mi accosto alla realtà della Rete. Ho im­parato dalla Chiesa (e da mio padre) a esaminare con simpatia ogni tentativo umano di comunicazione, di creati­vità, di «invenzione». Senza paura e con uno sguardo critico, come ci suggerisce il Papa.
In Internet si trova di tutto; allora, per prima cosa, è impor­tante essere attenti alla domanda che si ha nel cuore e che si pone allo strumento (di questo infatti si tratta), perché la Re­te risponde sempre e in modo vario rispetto a chi chiede. «Cammina l’uomo quando sa bene dove andare», e questo vale soprattutto nel mondo virtuale. Compito degli educato­ri è dunque aiutare i giovani a porre le domande giuste e per non essere disorientati bisognerà avere compagni giusti di cammino, e questi non saranno mai solo compagnie virtua­li. «La varietà delle opinioni espresse» – per non lasciare gli uo­mini in balìa di chi grida più forte – chiede ai cattolici di esse­re uniti nella fedeltà alla verità insegnata dal magistero. Il ser­vizio più grande di chi opera nel mondo del Web è dire la ve­rità, uniti e senza invidie o gelosie, facendo emergere il desi­derio autentico presente nel cuore dell’uomo.
Don Gabriele Mangiarotti, responsabile di CulturaCattolica.it

Ascoltiamo l’altro sapendo coltivare il silenzio
«Dobbiamo recuperare un certo senso di len­tezza e di calma. Questo richiede tempo e ca­pacità di fare silenzio per ascoltare»
In piena sintonia con i suoi predecessori, anche papa Francesco indica nell’antro­pologia la bussola per non perdere la rot­ta nel mare della comunicazione digitale. Una navigazione che deve rimanere saldamente nelle mani dell’uomo, senza cede­re alla tentazione di inserire il pilota automatico, facendosi gui­dare dalla tecnologia. Per non smarrire l’orientamento, papa Francesco esorta gli o­peratori mass-mediali a ripartire da quel «silenzio» che Bene­detto XVI aveva indicato nel Messaggio della Giornata mondiale delle comunicazioni del 2012. Un tramite indispensabile per «conoscere meglio noi stessi e permettere all’altra persona di parlare e di esprimersi». Occorre saper coltivare il desiderio di ascolto dell’altro e di co­noscenza della sua cultura e delle sue tradizioni. Di riflesso ­dice papa Francesco - sapremo anche meglio apprezzare e co­municare i grandi valori che hanno plasmato l’umanità negli ultimi due millenni. La comunicazione quindi deve essere u­no strumento di incontro verso tutte le persone con i loro in­terrogativi. La vera sfida che papa Francesco lancia agli opera­tori della comunicazione è quella di saper accogliere il nostro prossimo per camminare insieme a lui ed accompagnarlo dal­l’ambiente virtuale all’autentico incontro con Cristo.
Roberto Mazzoli, caporedattore «Il nuovo amico», diocesi Pesaro

Diamo voce alla speranza
«La testimonianza cristia­na non si fa con il bombar­damento di messaggi reli­giosi, ma con la volontà di donare se stessi agli altri».
Per comunicare sul se­rio occorre aver imparato a vivere per saper cogliere il mistero della vita, la complessità delle situazioni e delle perso­ne. Il che significa imparare ad ascoltare, a non dare giudizi affrettati, a mettersi in gio­co con chi non la pensa come te, a condivi­dere un tratto di strada con chi soffre ed è alla ricerca di risposte vere, non superficia­li, alle domande che porta dentro di sè. E l’unica risposta che dà un senso a tutto è Gesù Cristo. Chi ha fatto questa esperienza – e la rinno­va ogni giorno – sa bene che comunicare non è inondare di messaggi religiosi gli al­tri, ma è dare voce alla speranza che si è in­contrata.
È Dio stesso che prende l’iniziativa e viene in cerca di ognuno di noi. Pochi giorni fa un giovane in una comunità durante una ce­lebrazione condivideva questa esperienza: «Prima quando cercavo di pregare, non riu­scivo mai a trovare le parole giuste per ri­volgermi a Dio e a spiegargli ciò che vive­vo. Ora mi è stato insegnato a pregare e quando leggo i salmi nella Bibbia scopro che, mentre prego, è Dio stesso a parlarmi con la sua Parola. Una Parola – aggiungeva – che mi riempie il cuore e mi aiuta ad af­frontare la giornata». Chi ha fatto un’esperienza vera, personale di Dio, la comunica con una gioia contagiosa e affina la sua sensibilità per costruire con gli altri relazioni nuove, di ascolto e di fra­ternità, non più di giudizio.
Don Davide Maloberti, Direttore «Il Nuovo Giornale» e Ufficio comunicazioni sociali della diocesi di Piacenza-Bobbio

Veri, senza effetti speciali
«L’icona del buon samaritano, che fascia le ferite dell’uomo percosso versandovi sopra o­lio e vino, ci sia di guida. La no­stra comunicazione sia olio profumato per il dolore e vino buono per l’allegria. La nostra luminosità non provenga da trucchi o effetti speciali, ma dal no­stro farci prossimo di chi incontriamo ferito lun­go il cammino, con amore, con tenerezza».
L’icona del buon Samaritano è un’im­magine molto forte che Bergoglio ave­va giù utilizzato nel 2002, quindi è frut­to di una lunga meditazione. Per lui comunica­re è creare comunione, incontrare, farsi prossi­mo. Al centro non è più il messaggio, ma sono le persone che comunicano: il messaggio è il mez­zo. Chi ha un blog sa che se non c’è autenticità, se non ci sono relazioni, non si comunica. Allo­ra leggi il Messaggio e cerchi tra i tuoi file olio e vino per guarire e portare allegria, e relativizzi i curriculum vitae, i titoli di studio, gli aggiorna­menti professionali perché capisci che è finito il tempo del dialogo da salotto: bisogna uscire e camminare per strada senza sapere chi incon­trerai per arrivare a luoghi dove tutta la tua cul­tura e le tue sagaci espressioni saranno un bel programma solo se hai capito che comunicare – fare comunione – è amare. Non stiamo a rac­contarcela: non si è prossimo finché l’altro non ci scomoda. L’unica prossimità del cristianesi­mo è l’amore. Si può fare il buon Samaritano per tanti motivi: perché è da uomo civile, perché è giusto, ma l’unica prossimità del cristianesimo è l’amore. Non è prossimità quando vuoi che i po­veri che assisti vengano puntuali, non sporchi­no e non ti dicano che non gli piace il pane e marmellata che dai per pranzo al posto della pa­sta. E uguale – proprio uguale – è per la Rete, per­chè lì ci siamo noi. Poveri. Persone. Forse basta leggere l’ultima riga del Messaggio «trasmettere agli altri la bellezza di Dio», e premere invio.
Don Mauro Leonardi, blogger (http://mauroleonardi.it/)