«Oggi viviamo in un mondo che sta diventando sempre più 'piccolo' e dove, quindi, sembrerebbe essere facile farsi prossimi gli uni agli altri». Da queste parole prende avvio il ragionamento col quale papa Bergoglio ha consegnato alla Chiesa giovedì scorso il suo primo messaggio per una Giornata mondiale delle comunicazioni sociali, quella in programma il 1° giugno 2014, che il Pontefice ha pensato dedicata al tema «Comunicazione al servizio di un’autentica cultura dell’incontro». Le riflessioni contenute nel messaggio sono imperniate attorno a un’originale rilettura della parabola del buon samaritano in chiave culturale e mediatica. Un testo tutt’altro che per soli addetti ai lavori e che, proprio nel commento delle frasi chiave che Avvenire ha affidato ad alcuni di loro, offre alcuni sprazzi della sua singolare ricchezza pastorale ed educativa. Ecco le voci raccolte dal quotidiano dei cattolici nella pagina del Portaparola di martedì 28 gennaio.
Essere connessi, occasione formidabile per metterci in gioco. E raggiungere chi ha bisogno
«Non basta passare lungo le 'strade' digitali, cioè semplicemente essere connessi: occorre che la connessione sia accompagnata dall’incontro vero». Quale stile nell’abitare la Rete? Il messaggio del Papa ricorda che il mondo digitale può essere «un luogo ricco di umanità, non una rete di fili ma di persone umane ». Percorrere le strade digitali deve essere un modo per aprirci all’incontro con l’altro e non un mezzo per stare soli. «Abbiamo bisogno di amare ed essere amati, di tenerezza», aggiunge Francesco. Siamo chiamati a non ridurre Internet a pura tecnologia, ma a considerarlo come un’occasione formidabile per mettere in gioco noi stessi e mostrarci autentici. Solo così chi comunica può diventare punto di riferimento nel Web. In quest’ottica, comunicare rappresenta una sfida anche per le nostre Chiese locali che attraverso i media possono testimoniare la bellezza del Vangelo e raggiungere chi è alla ricerca di speranza o chi ha bisogno di una parola di conforto.
Marco Piras, direttore «L’Arborense», Oristano
Accendiamo il cuore
«Anche nel contesto della comunicazione serve una Chiesa che riesca a portare calore, ad accendere il cuore». Questa è la Chiesa che Francesco desidera costruire. Ma prima del Papa è il Vangelo a chiedercelo. Cosa fa ardere il cuore dei discepoli di Emmaus? La spiegazione delle Scritture che Gesù offre loro sta, prima ancora, nell’aver trovato una persona pronta a condividere il cammino con loro che erano incapaci di capire chi fosse il Nazareno. Il Papa ci chiede di camminare incontrando le persone, spesso ferite, che affollano le strade digitali raggiungendole «affettivamente», disposti ad ammaccarci. Qualcuno, dopo aver sperimentato che la Chiesa è casa di tutti, potrà esclamare, come i due personaggi tristi del racconto evangelico, «resta con noi!», dimostrando di aver trovato la speranza. Un incontro, quello con Gesù nella Chiesa-ospedale da campo, che dà una gioia talmente grande da doverla condividere.
Don Claudio Tracanna, portavoce diocesi dell’Aquila
Coinvolgerci, premessa per incontrare
«Come allora la comunicazione può essere a servizio di un’autentica cultura dell’incontro?». Comunicare è un atto originario che nasce dalla necessità di porsi in relazione con l’altro e trova una delle sue massime espressioni nel momento del bisogno. Tornano alla mente quei momenti in cui abbiamo sentito la necessità di comunicare la nostra sofferenza all’altro per trovarvi conforto. E quante volte ci siamo sentiti sostenuti da ciò che ci è stato detto, anche una semplice parola. Ma siamo stati poi in grado di porci dalla parte dell’ascolto, rimanendo com-mossi dalle difficoltà di chi è nella prova, tanto da coinvolgerci per aiutarlo? Questa domanda esige una risposta: la nostra. Francesco chiede che la comunicazione diventi strumento di prossimità e pone l’accento proprio sul fatto che l’interrogazione dello scriba «chi è il mio prossimo?» debba diventare responsabilità di farsi prossimo. È una consapevolezza nuova che deve muoverci verso l’altro: quella di riconoscere che Qualcuno ci è venuto incontro abbracciando la nostra umanità.
Monica Olati, Portaparola diocesi di Milano
Nelle difficoltà stiamo accanto alla gente
«Internet può offrire maggiori possibilità di incontro e di solidarietà tra tutti, e questa è una cosa buona, è un dono di Dio». Le parole del Papa ci aiutano a dipingere ciò che sul territorio stiamo vivendo, dal terremoto del 2012 e oggi con l’alluvione che ha lambito la diocesi di Carpi, danneggiando un’ampia area dell’arcidiocesi di Modena. Di fronte alle difficoltà di molti media nazionali nel riportare correttamente le notizie, a livello locale vecchi e nuovi mezzi di comunicazione, come un unico corpo, si sono messi a sevizio dei bisogni della gente sia raccontando, sia contribuendo essi stessi a far crescere quel senso di unità che, al di là di tante differenze, continua a contraddistinguere gli emiliani. Dai quotidiani locali, alle tv, al Web, sono nate catene di solidarietà autentica, collaborazioni, amicizie. La cultura dell’incontro porta con sé il rischio dello scontro, ma nella pluralità dei mezzi, salvaguardando la specifica finalità di ciascuno, è possibile stemperare questa tensione. In una terra così duramente provata comunicare bene non significa più solo informare correttamente, ma rispondere alla domanda su chi è il nostro prossimo.
Benedetta Bellocchio, portavoce diocesi Carpi
Una ricchezza ma per chi sa dove andare
«La varietà delle opinioni espresse può essere percepita come ricchezza, ma è anche possibile chiudersi in una sfera di informazioni che corrispondono solo alle nostre attese e alle nostre idee». «Internet: dono di Dio». È con questo sguardo che mi accosto alla realtà della Rete. Ho imparato dalla Chiesa (e da mio padre) a esaminare con simpatia ogni tentativo umano di comunicazione, di creatività, di «invenzione». Senza paura e con uno sguardo critico, come ci suggerisce il Papa.
In Internet si trova di tutto; allora, per prima cosa, è importante essere attenti alla domanda che si ha nel cuore e che si pone allo strumento (di questo infatti si tratta), perché la Rete risponde sempre e in modo vario rispetto a chi chiede. «Cammina l’uomo quando sa bene dove andare», e questo vale soprattutto nel mondo virtuale. Compito degli educatori è dunque aiutare i giovani a porre le domande giuste e per non essere disorientati bisognerà avere compagni giusti di cammino, e questi non saranno mai solo compagnie virtuali. «La varietà delle opinioni espresse» – per non lasciare gli uomini in balìa di chi grida più forte – chiede ai cattolici di essere uniti nella fedeltà alla verità insegnata dal magistero. Il servizio più grande di chi opera nel mondo del Web è dire la verità, uniti e senza invidie o gelosie, facendo emergere il desiderio autentico presente nel cuore dell’uomo.
Don Gabriele Mangiarotti, responsabile di CulturaCattolica.it
Ascoltiamo l’altro sapendo coltivare il silenzio
«Dobbiamo recuperare un certo senso di lentezza e di calma. Questo richiede tempo e capacità di fare silenzio per ascoltare»
In piena sintonia con i suoi predecessori, anche papa Francesco indica nell’antropologia la bussola per non perdere la rotta nel mare della comunicazione digitale. Una navigazione che deve rimanere saldamente nelle mani dell’uomo, senza cedere alla tentazione di inserire il pilota automatico, facendosi guidare dalla tecnologia. Per non smarrire l’orientamento, papa Francesco esorta gli operatori mass-mediali a ripartire da quel «silenzio» che Benedetto XVI aveva indicato nel Messaggio della Giornata mondiale delle comunicazioni del 2012. Un tramite indispensabile per «conoscere meglio noi stessi e permettere all’altra persona di parlare e di esprimersi». Occorre saper coltivare il desiderio di ascolto dell’altro e di conoscenza della sua cultura e delle sue tradizioni. Di riflesso dice papa Francesco - sapremo anche meglio apprezzare e comunicare i grandi valori che hanno plasmato l’umanità negli ultimi due millenni. La comunicazione quindi deve essere uno strumento di incontro verso tutte le persone con i loro interrogativi. La vera sfida che papa Francesco lancia agli operatori della comunicazione è quella di saper accogliere il nostro prossimo per camminare insieme a lui ed accompagnarlo dall’ambiente virtuale all’autentico incontro con Cristo.
Roberto Mazzoli, caporedattore «Il nuovo amico», diocesi Pesaro
Diamo voce alla speranza
«La testimonianza cristiana non si fa con il bombardamento di messaggi religiosi, ma con la volontà di donare se stessi agli altri».
Per comunicare sul serio occorre aver imparato a vivere per saper cogliere il mistero della vita, la complessità delle situazioni e delle persone. Il che significa imparare ad ascoltare, a non dare giudizi affrettati, a mettersi in gioco con chi non la pensa come te, a condividere un tratto di strada con chi soffre ed è alla ricerca di risposte vere, non superficiali, alle domande che porta dentro di sè. E l’unica risposta che dà un senso a tutto è Gesù Cristo. Chi ha fatto questa esperienza – e la rinnova ogni giorno – sa bene che comunicare non è inondare di messaggi religiosi gli altri, ma è dare voce alla speranza che si è incontrata.
È Dio stesso che prende l’iniziativa e viene in cerca di ognuno di noi. Pochi giorni fa un giovane in una comunità durante una celebrazione condivideva questa esperienza: «Prima quando cercavo di pregare, non riuscivo mai a trovare le parole giuste per rivolgermi a Dio e a spiegargli ciò che vivevo. Ora mi è stato insegnato a pregare e quando leggo i salmi nella Bibbia scopro che, mentre prego, è Dio stesso a parlarmi con la sua Parola. Una Parola – aggiungeva – che mi riempie il cuore e mi aiuta ad affrontare la giornata». Chi ha fatto un’esperienza vera, personale di Dio, la comunica con una gioia contagiosa e affina la sua sensibilità per costruire con gli altri relazioni nuove, di ascolto e di fraternità, non più di giudizio.
Don Davide Maloberti, Direttore «Il Nuovo Giornale» e Ufficio comunicazioni sociali della diocesi di Piacenza-Bobbio
Veri, senza effetti speciali
«L’icona del buon samaritano, che fascia le ferite dell’uomo percosso versandovi sopra olio e vino, ci sia di guida. La nostra comunicazione sia olio profumato per il dolore e vino buono per l’allegria. La nostra luminosità non provenga da trucchi o effetti speciali, ma dal nostro farci prossimo di chi incontriamo ferito lungo il cammino, con amore, con tenerezza».
L’icona del buon Samaritano è un’immagine molto forte che Bergoglio aveva giù utilizzato nel 2002, quindi è frutto di una lunga meditazione. Per lui comunicare è creare comunione, incontrare, farsi prossimo. Al centro non è più il messaggio, ma sono le persone che comunicano: il messaggio è il mezzo. Chi ha un blog sa che se non c’è autenticità, se non ci sono relazioni, non si comunica. Allora leggi il Messaggio e cerchi tra i tuoi file olio e vino per guarire e portare allegria, e relativizzi i curriculum vitae, i titoli di studio, gli aggiornamenti professionali perché capisci che è finito il tempo del dialogo da salotto: bisogna uscire e camminare per strada senza sapere chi incontrerai per arrivare a luoghi dove tutta la tua cultura e le tue sagaci espressioni saranno un bel programma solo se hai capito che comunicare – fare comunione – è amare. Non stiamo a raccontarcela: non si è prossimo finché l’altro non ci scomoda. L’unica prossimità del cristianesimo è l’amore. Si può fare il buon Samaritano per tanti motivi: perché è da uomo civile, perché è giusto, ma l’unica prossimità del cristianesimo è l’amore. Non è prossimità quando vuoi che i poveri che assisti vengano puntuali, non sporchino e non ti dicano che non gli piace il pane e marmellata che dai per pranzo al posto della pasta. E uguale – proprio uguale – è per la Rete, perchè lì ci siamo noi. Poveri. Persone. Forse basta leggere l’ultima riga del Messaggio «trasmettere agli altri la bellezza di Dio», e premere invio.
Don Mauro Leonardi, blogger (http://mauroleonardi.it/)