La web generation approda in Vaticano. Perché se su Internet «si sta costruendo il modello antropologico dell’uomo di domani», per la Chiesa è giusto, anzi «si impone » – il dovere «di annunciare il Vangelo anche in questo mondo». Un mondo che qualcuno ha già definito «il settimo continente », e che da ieri è al centro della riflessione dell’Assemblea plenaria della Commissione episcopale europea per i media ( Ceem ), in corso in Vaticano, presso l’aula vecchia del Sinodo, sul tema La cultura di Internet e la comunicazione della Chiesa.
Tema cruciale, in quanto «Internet è cultura, produce cultura... sta modificando anche il nostro modo di pensare e comunicare», ha detto introducendo i lavori il cardinale Josip Bozanic’, arcivescovo di Zagabria e vicepresidente del Consiglio delle Conferenze episcopali d’Europa (di cui la Ceem è la commissione specializzata che segue lo sviluppo dei media e delle comunicazioni ecclesiali). Per questo, ha aggiunto l’arcivescovo, «il crescente peso che sta assumendo Internet nella vita delle persone» ci impone «di annunciare il Vangelo anche in questo altro mondo», soprattutto perché «per i giovani della web generation che è cresciuta su Internet, questo luogo virtuale» sta diventando «lo spazio principale dove avviene la loro formazione umana, morale e conoscitiva. È in Internet che è possibile capire e si costruisce il nuovo modo di percepire la relazione interpersonale, la cultura, il rapporto con il trascendente, con la conoscenza e lo stesso Tempo».
Presenti monsignor Claudio Maria Celli, presidente del pontificio Consiglio delle Comunicazioni Sociali, che ha porto il benvenuto ai partecipanti, una ventina di vescovi- presidenti delle commissioni episcopali per le comunicazioni sociali nelle loro rispettive Conferenze, e poi esperti, addetti stampa, portavoce delle Conferenze episcopali e rappresentanti di Facebook, Youtube, Identi.ca e Wikipedia , dopo Bozanic’ è intervenuto monsignor Domenico Pompili, sotto-segretario della Conferenza episcopale italiana e direttore dell’Ufficio per le Comunicazioni sociali della Cei. Il quale ha posto all’assemblea le tre domande cruciali da porsi per arrivare a comprendere quali sia «l’influenza dei nuovi media nelle nostre esistenze ». La prima di queste, ha detto Pompili, verte «sulla relazione tra virtuale e reale», due «esperienze » che si vuole contrapposte ma che, oggi, occorre chiedersi come «possono integrarsi »; perché «non sarà forse che questo virtuale sia diventato anche un po’ reale?». Il secondo interrogativo riguarda come «questo nuovo individualismo», definito « networked individualism », individualismo interconnesso, stia ridisegnando «il territorio umano e dunque la dinamica relazionale ». E la terza, infine, che affonda nel contesto ecclesiale, che si pone il problema del modo in cui «è possibile avere in Rete una fisionomia riconoscibile senza per questo assumere linguaggi scontati o peggio indecifrabili ». O, in altre parole, «come dobbiamo essere noi stessi, fino in fondo, senza per questo assumere uno stile linguistico desueto, quando non tautologico, cioè ripetitivo?» Su queste premesse, ad avviare i lavori, che si concluderanno sabato prossimo, è stata la relazione introduttiva del vescovo di Gap ed Embrun, monsignor Jean-Michel Di Falco Leandri, presidente del Ceem . «Internet – ha detto il presule – è uno strumento, e in quanto tale non è portatore di morale, ma è utilizzato dagli uomini portatori di morale, capaci di usarne nel bene così come nel male. Come ogni strumento che moltiplica le capacità umane è portatore tanto di minacce quanto di potenzialità. Tutto dipende dall’uso che se ne fa». Per questo, ha osservato, «la moralizzazione di Internet non si farà senza la moralizzazione degli uomini, e in primo luogo di noi stessi».
Il relatore ha citato «i tre avvenimenti che lo scorso inverno hanno creato scompiglio» nella vita della Chiesa – «l’affaire Williamson, l’affaire della scomunica di Recife e l’ affaire del preservativo» – secondo il relatore hanno rivelato «la forza e la debolezza della comunicazione della Chiesa nel contesto della trionfante cultura di Internet». Per questo, ha aggiunto, «non illudiamoci e non facciamo gli struzzi: Internet si trasforma, trasforma la nostra società e non può che trasformare la Chiesa e il nostro modo di essere e operare». D’altra parte «viviamo in un mondo pluralista, nel quale grazie a Internet molti possono avere accesso a tutto e proporre il proprio punto di vista su tutto. La Chiesa non può non tenerne conto».