UFFICIO NAZIONALE PER LE COMUNICAZIONI SOCIALI
DELLA CONFERENZA EPISCOPALE ITALIANA

Se una nave a picco
diventa una metafora

Quella nave, siamo noi. L’ammiraglia della Costa ferita e arenata, metafo­ra dell’Italia in questo frangente di crisi; e i media attorno che tessono, at­torno al naufragio, una sorta di epopea da cui non riusciamo a staccarci. È l’analisi che Avvenire ha raccolto dal pro­fessor Ruggero Eugeni...
19 Gennaio 2012
Quella nave, siamo noi. L’ammiraglia della Costa ferita e arenata, metafo­ra dell’Italia in questo frangente di crisi; e i media attorno che tessono, at­torno al naufragio, una sorta di epopea da cui non riusciamo a staccarci. È l’analisi del pro­fessor Ruggero Eugeni, docente di Semiotica e direttore dell’Almed, Alta scuola in media e comunicazione dell’Università Cattolica.

 
«La percezione di quanto è avvenuto al Giglio – spiega il professore – è cambiata nel corso dei giorni parallelamente al flusso delle im­magini. L’immagine più drammatica, che ha raccontato la tragedia più di molte parole, è la foto notturna scattata da un elicottero dei soccorsi, che mostra i passeggeri mentre si calano lungo una cima dalla nave. Guardan­do quella foto, con un certo ritardo ci siamo resi conto di ciò che era successo; lo sguardo dall’alto e la luce sinistra degli infrarossi sem­bravano rappresentare gli uomini come una fila di formiche, schiacciati laggiù in basso». «Nelle prime ore – continua Eugeni – prota­gonista era la nave; poi l’at­tenzione si è spostata sulle storie degli uomini, e si è an­data formando un’epica di storie parallele, le une allac­ciate alle altre. Certo ha inci­so anche la memoria del film di Cameron, che tutti abbia­mo visto, e lo stupore di fron­te a un Titanic italiano e con­temporaneo; vicenda orrida e sublime, terribile e al con­tempo affascinante, come tutto ciò che è trascendente, al di là della nostra compren­sione».
 
Si assiste, professore, a una marcata dram­matizzazione, il comandante Schettino è il “comandante codardo” e il responsabile del­la Capitaneria di porto De Falco che gli gri­da: «Risalga a bordo!», è diventato un eroe...
«Questo comandante Schettino che, sembra, ha sbagliato manovra, poi ha abbandonato la nave e infine avrebbe mentito, risulta con­dannabile sotto diversi profili etici e quindi è al centro di un fuoco incrociato di accuse. Ad accentuare la drammatizzazione della sua fi­gura sono state le trascrizioni delle telefona­te con la Capitaneria , che hanno fornito qua­si una forma drammaturgica alla tragedia».
 
Non c’è una estremizzazione, nella rappre­sentazione di quest’uomo come il concen­trato di ogni male?
«Di certo si nota che almeno fino ad ora le fi­gure degli altri ufficiali sembrano scompar­se, come se non avessero avuto alcun ruolo o responsabilità, e questo indica una certa ansia di trovare un capro espiatorio da con­dannare all’unanimità. Inoltre questa vicen­da è diventata nei media, sì, una rappresen­tazione epica, ma a differenza dai poemi e­pici classici noi oggi tendiamo a escludere l’intervento di Dio o del fato nelle storie de­gli uomini; e dunque la colpa di ciò che ac­cade deve essere tutta di un uomo, di quel­l’uomo».
 
Sembra però, a giudicare dallo spazio che giornali e tv continuano a dare alla Concor­dia a cinque giorni dal naufragio, che quel­la nave ci ipnotizzi; che non sia solo una na­ve, ma una forte metafora di qualcosa che ci riguarda.
«Certo l’ammiraglia arenata, semiaffondata, è una trasparente metafora dell’Italia nelle ambasce della crisi economi­ca internazionale. L’identifi­cazione più o meno coscien­te della nave con il nostro Paese spiega la potenza ma­gnetica con cui questa vicen­da ci attrae».
 
Se la Concordia siamo noi, le due figure contrapposte co­me il bianco e il nero, il co­mandante Schettino e il ca­pitano De Falco, chi sono di­ventati nella trascrizione me­diatica? E perchè destano tanta avversione l’uno e tan­to amore l’altro, che in fondo ha fatto semplicemente il suo dovere di uf­ficiale?
«Schettino è stato rappresentato coralmente dai media come l’antitaliano, o meglio come il volto dell’Italia che non vogliamo essere, scorretta, irresponsabile, incompetente. Quell’ufficiale della Capitaneria di porto in­vece, con il suo semplice esortare brusca­mente «Comandante, torni a bordo!», è av­vertito come il richiamo a un’etica della pro­fessionalità e della responsabilità. Rappre­senta un’Italia che non vuole lasciare nulla di intentato per uscire dalla crisi, in un fran­gente grave. Come dicevo: la sciagura della Concordia si è fatta una grande epopea cari­ca di pathos, fortemente metaforica».
 
Così che gli italiani stanno a guardare il gi­gante arenato sugli scogli, quella grande fie­ra nave ferita, e forse senza sapere appieno il perchè dalle immagini dall’isola del Giglio non si riescono a staccare: quella storia, inti­mamente, li riguarda.