UFFICIO NAZIONALE PER LE COMUNICAZIONI SOCIALI
DELLA CONFERENZA EPISCOPALE ITALIANA

Senza responsabilità, quale riservatezza?

È di martedì la notizia di un video tutorial prodotto dal Garante della privacy allo scopo di sensibilizzare soprattutto gli utenti più giovani sul delicato tema della riservatezza e della protezione delle informazioni sensibili in rete. Chiara Giaccardi, su Avvenire, riflette sulle modalità e sullo spirito di questa operazione...
18 Aprile 2013
È di martedì la notizia di un video tutorial (modalità molto amata dai frequentatori del web, per imparare a suonare uno strumento, a cucinare una nuova ricetta, a tentare un trucco per un’occasione speciale...) prodotto dal Garante della privacy allo scopo di sensibilizzare soprattutto gli utenti più giovani sul delicato tema della riservatezza e della protezione delle informazioni sensibili in rete. Il video – «Fatti smart! Tutela la tua privacy su smartphone e tablet» – presenta, nell’accattivante linguaggio dell’animazione, una serie di consigli pratici di buon senso per ridurre i rischi di accesso alle proprie informazioni personali. L’iniziativa è certamente lodevole, in un contesto in cui la quasi totalità dei giovani under 20 è connessa e mostra mediamente scarsa consapevolezza e quindi poca attenzione rispetto alla diffusione dei propri dati in rete e alla loro permanenza e accessibilità nel tempo. Tuttavia, non si possono non notare alcuni limiti di questa operazione, che rischiano di limitarne l’efficacia e di alimentare paradossalmente un messaggio anti­educativo, o almeno discutibile sul piano dei presupposti. Il video offre un insieme di consigli 'tecnici' non tanto su cosa sia opportuno o non opportuno mettere in rete, ma su come rendere inaccessibili i propri dati. Quindi, a parte la generica indicazione di non lasciare nei dispositivi informazioni troppo personali (indicazione che si scontra peraltro con le pratiche dei nativi digitali, per i quali lo smartphone è un’estensione del sé e della propria memoria: sarebbe come se qualcuno ci avesse detto, a 13 anni, di non scrivere cose troppo personali sul diario), i suggerimenti sulle strategie di protezione dei propri dati sono troppo tecnici per i neofiti e scontati invece per chi ha già familiarità con i dispositivi. Ma le maggiori perplessità sulla funzione educativa del video riguardano tre suoi presupposti impliciti, a mio avviso ugualmente discutibili. Il primo è che possiamo normare efficacemente i comportamenti prescindendo dai contenuti: le procedure sarebbero 'neutre', mentre entrare nel merito rischierebbe di ledere la libertà dei soggetti. Il messaggio implicito è dunque: «Non importa quello che posti, sono fatti tuoi, l’importante è che nessuno possa accedervi senza il tuo consenso». Considerato che per una larga parte si tratta di minori, forse questo non è il messaggio più educativo che si possa far giungere loro... Anche perché, e questo è il secondo punto, lo spostamento sul piano della segretezza di ciò che invece dovrebbe riguardare prima di tutto un’educazione alla responsabilità del dire è tutt’altro che culturalmente neutro e rischia di rafforzare una sorta di schizofrenia della persona e di dualismo etico, in perfetta sintonia con i dettami dell’individualismo contemporaneo ma profondamente stridente con un’antropologia dell’unità della persona. Si assiste così al paradosso di un esibizionismo narcisistico da un lato e di un richiamo a costruirci porte blindate digitali dall’altro, per poter fare liberamente quello che ci pare nel perimetro del nostro nascondimento. Personalmente, concordo con chi identifica nell’«epoca delle passioni tristi» l’esito di questa pedagogia implicita della cultura contemporanea. Questo 'dualismo morale' – terzo elemento di perplessità – si combina perfettamente, rafforzandolo, con il 'dualismo digitale' che vede la rete come una dimensione separata e minacciosa, densa di pericoli per la nostra incolumità e reputazione. Altro è insegnare ai giovani che niente di ciò che fanno è senza conseguenze, sulla rete così come nella vita offline; che errori e passi falsi sono inevitabili e possono essere superati, ma nello stesso tempo ogni cosa che facciamo e diciamo in ciascuno degli ambienti in cui ci muoviamo lascia tracce su di noi e sugli altri; che siamo gli stessi online e offline, mentre il dualismo rafforza l’illusione che si possano tenere comportamenti irresponsabili in rete senza nessuna conseguenza, purché restino inaccessibili. Educare alla riservatezza e alla consapevolezza è opportuno. Ma c’è quantomeno da dubitare che quella della privacy – una parola che in molte lingue e culture dove la relazione definisce l’individuo (compresa la nostra) non ha traduzione, o non esiste – sia la strada giusta per affrontare il tema della libertà e della responsabilità nel mondo 'misto' di oggi.