Lei, adolescente, gli aveva postato un video ardito. Lui, maggiorenne, con quelle immagini aveva iniziato a ricattarla: se mi lasci finiscono in rete, la minacciava. Ad accorgersi del dramma è stata la madre della ragazza, collegata con la chat di Hangout. La donna ha sporto denuncia ed è così che il caso è arrivato a Marco Luciani, vice commissario della Polizia urbana di Milano, che spiega: «Non è una situazione inedita quella per cui i figli tacciono. Per vergogna, per timore d’essere privati dello smartphone, oppure perché non sanno come approcciare il tema».
Ne ha raccontati altri di episodi simili a Novara, nell’ambito d’un ciclo sul cyberbullismo organizzato dalla parrocchia di San Martino, davanti a decine di genitori, insegnanti, educatori e animatori dell’oratorio Anspi e della contigua parrocchia di Santa Rita. «È urgente – ha detto – che si prenda coscienza del fenomeno: le famiglie devono sapere che esiste perché, se non lo vivono direttamente, lo rimuovono. Non è un problema mio, dicono. Salvo poi restare senza parole nel momento in cui le stesse storie che si leggono sui giornali ti esplodono in casa».
Tre serate a San Martino per riflettere su un’emergenza che, come sottolinea il parroco don Clemente De Medici, «a Novara è particolarmente sentita per quel che qui accadde nel 2013». Si riferisce al suicidio di Carolina Picchio, 14 anni, primo caso di cyberbullismo approdato nelle aule di giustizia italiane. «Il nostro – ha aggiunto – voleva essere un servizio per le famiglie, in quella prospettiva cristiana per cui la comunità educante deve saper farsi carico delle preoccupazioni sociali che attraversano il suo tempo».
Ed è stata proprio di Paolo Picchio, papà di Carolina, la testimonianza più viva: «Era una ragazza forte e avrebbe resistito se quel video, girato a una festa mentre vomitava forse per una sostanza aggiunta a sua insaputa al cocktail, non fosse finito su Facebook. Quella notte in un quarto d’ora partirono 2.600 like e una valanga d’insulti che la travolsero fino a spingerla giù dalla finestra». Alla sua s’è aggiunta la voce della senatrice Elena Ferrara, che di Carolina fu insegnante e che ha firmato un disegno di legge di contrasto al cyberbullismo giunto in terza lettura a Palazzo Madama. «Le leggi potranno essere migliorate – ha detto Luciani – ma il punto vero è l’educazione all’uso dello smartphone, che diverrà sempre più invasivo nella vita dei nostri figli».
Quel che serve è un po’ di buon senso: ad esempio, non cedere mai la password dei propri profili. «Tra ragazzi viene richiesta come pegno d’amore, ma quando la passione si spegne chi ha l’accesso può fare ciò che vuole. Peggio, può modificare la password e agire indisturbato con un’identità altrui in azioni di screditamento e diffamazione».