UFFICIO NAZIONALE PER LE COMUNICAZIONI SOCIALI
DELLA CONFERENZA EPISCOPALE ITALIANA

Social media: connessi non basta

"Nei social non basta esserci, conta la qualità del coinvolgi­mento personale". Lo ha detto don Ivan Maffeis, vice diretto­re di questo Ufficio, nel­l’ambito del con­vegno dal titolo «Churchbook. Tra social network e pastorale», ospita­to il 29 maggio dall’Univer­sità Cattolica di Milano.
30 Maggio 2014

Essere sempre connessi, es­sere online e presenti sui social network non signifi­ca necessariamente uscire e in­contrare l’altro. Questo perché i so­cial media non sono un nuovo mondo, ma un nuovo modo di co­municare con regole ben precise. «La connessione da sola non è ga­ranzia di relazione. A fare la diffe­renza è la qualità del coinvolgi­mento personale» ha sostenuto, giovedì 29 maggio, don Ivan Maffeis, vice diretto­re dell’Ufficio na­zionale per le co­municazioni so­ciali della Cei, nel­l’ambito del con­vegno dal titolo «Churchbook. Tra social network e pastorale», ospita­to dall’Univer­sità Cattolica di Milano.
Ad aprire la gior­nata di studi è sta­to il vescovo Clau­dio Giuliodori, assistente ecclesia­stico generale dell’ateneo, che ha richiamato e fatto proprio l’auspi­cio di papa Francesco di «abitare la Rete», di uscire sui social media allo scoperto, come fossero una periferia esistenziale nella quale essere testimoni. E «come nella pa­rabola del Buon Samaritano – ha proseguito don Maffeis – non pos­siamo percorrere queste autostra­de digitali senza farci prossimo. Per questo la Chiesa è chiamata ad u­na conversione e il web ci provo­ca a farlo». Nel corso del convegno sono stati presentati i risultati di un’indagine sull’uso di Facebook da parte di sa­cerdoti, religiosi e seminaristi che è stata condotta dal Centro di ri­cerca sull’educazione ai media (Cremit) dell’Università Cattolica e dal dipartimento di scienze politi­che dell’Università di Perugia, per conto di WeCa (associazione dei webmaster cattolici italiani). «Fin dalla sua fondazione nel 203 , We-Ca – ha spiegato il presidente del­l’associazione, Giovanni Silvestri – si è proposta l’obiettivo di forma­re gli operatori pastorali della co­municazione, ma per farlo abbia­mo sentito l’esigenza di contenu­ti scientifici che venissero dall’e­sterno ». Nacque così la prima ri­cerca “Parrocchia e Internet” nel 2007-2008 e ora questa seconda a­nalisi che, ha proseguito Silvestri, «non può essere solo un esercizio accademico, ma un modo per af­frontare le preoccupazioni che ri­guardano le nostre comunità».
Veniamo ai dati. Secondo la ricer­ca, coordinata dal professor Pier Cesare Rivoltella, direttore del Cre­mit, hanno un profilo Facebook il 17,9% dei sacerdoti diocesani, il 20,4% dei religiosi, il 59,7% dei se­minaristi, il 9,3% delle religiose. I seminaristi risultano essere anche i più attivi: il 20,3% pubblica in ba­checa un post al giorno o al mas­simo ogni due giorni contro il 7,6% delle religiose, il 14,3% dei dioce­sani e il 18,3% dei religiosi. Quat­tro sono gli “stili” di presenza ri­trovati in Rete: dagli attivisti ai con­fessori, dagli opi­nionisti agli esege­ti.
Se le reti virtuali di un sacerdote ri­producono le reti reali – la parroc­chia, gli amici – di­verso è il caso del­le religiose, che seppur in numero minore su Face­book sono quelle che fanno un uti­lizzo più aperto della Rete. «La spiccata “socialità” delle religiose dipende forse pro­prio dalla loro ministerialità – han­no spiegato le ricercatrici Rita Mar­chetti e Simona Ferrari –, tra i loro contatti infatti ci sono non solo consorelle e fedeli, ma anche in­ternauti », ossia persone conosciu­te direttamente, abitando la Rete e portando l’Annuncio. «La donna ha nel Dna capacità empatica, di farsi carico, di esplorare orizzonti nuovi» ha sottolineato a tal pro­posito don Domenico Dal Molin, direttore dell’Ufficio Cei per la pa­storale delle vocazioni.
Se da un lato don Dal Molin non ha mancato di mettere in guardia i seminaristi, considerati i più at­tivi sui social network, dai rischi di esibizione narcisistica, legati in­trinsecamente al mezzo, dall’altro lato ha affermato che anche «nel­l’esperienza di prossimità» che i social network ci offrono si possa ritrovare «l’elogio della bellezza della relazione».
Per far questo, però, secondo il professor Andrea Tomasi dell’Uni­versità di Pisa, invitato a modera­re parte del convegno, «bisogna mostrare la nostra umanità e col­tivare maggiormente quell’uscire verso gli altri». Nel mondo virtua­le ma anche nel mondo reale, per­ché «l’importanza del corpo nelle nostre relazioni è insostituibile» come ha ricordato don Jonah Lyn­ch, rettore del Seminario della Fra­ternità San Carlo.