UFFICIO NAZIONALE PER LE COMUNICAZIONI SOCIALI
DELLA CONFERENZA EPISCOPALE ITALIANA

Social network: anche sul web
la parrocchia “vicina”

Suggerimenti per "abitare" come parrocchia i social network, con uno stile che fa di Internet e dei media digitali (come ricorda mons. Pompili) «un luogo di convivialità dove le modalità e il significato dello stare insieme non siano pre-orchestrati dallo strumento»...
5 Luglio 2011
È possibile affidarsi ai post, magari con parole che siano portatrici di gioia o che mostrino una particolare attenzione alla persona. Oppure si può ricorrere a una webcam da sistemare in chiesa per trasmettere la Messa così da far vivere anche a chi sta ore e ore davanti al computer che la Rete può essere un ponte con la comunità ecclesiale presente in quel paese o in quel quartiere.

 
Suggerimenti per stare come parrocchia sui social network. O, forse, sarebbe meglio dire per abitarli. Con uno stile che fa di Internet e dei media digitali «un luogo di convivialità dove le modalità e il significato dello stare insieme non siano pre-orchestrati dallo strumento» e «l’intersoggettività non sia autoreferenziale ma aperta alla ricerca comune di un senso che nessun dispositivo può rendere disponibile», spiega monsignor Domenico Pompili, sottosegretario della Cei e direttore dell’Ufficio nazionale per le comunicazioni sociali, durante l’incontro organizzato dalla sezione femminile degli scout d’Europa riuniti a Soriano, nel Viterbese, lo scorso fine settimana per il centenario del guidismo. Ecco perché, sottolinea Pompili, va ribadita l’idea che «fede e tecnica non sono concorrenti».
Anzi, «esplorare le potenzialità della Rete alla luce dell’esperienza di fede consente di coglierne le opportunità di umanizzazione e sottrarsi alle logiche dettate dalla tecnica». Da qui la possibilità di entrarci anche come comunità parrocchiali. «Certo, non va contrapposta una pastorale reale a una virtuale – afferma Pier Cesare Rivoltella, docente di didattica e tecnologie dell’istruzione all’Università Cattolica di Milano –. In quest’ottica il social network diventerà un’opportunità se la pastorale è viva e vegeta, anzi direi in carne e ossa». Perché ciò che conta è che la comunità online sia ancorata alla comunità che cammina all’ombra del campanile. «Se fossi un parroco che ha perso i contatto con i fedeli e spera di riagganciarli ricorrendo ai social network – chiarisce l’esperto –, sarei fuori strada. Se, invece, sono un prete che vive fortemente la relazione con i parrocchiani, ho anche la possibilità di amplificarla attraverso Facebook. Questo per dire che lo spazio virtuale non va inteso come vicario dell’esperienza ma come prolungamento, estensione e potenziamento».
Due i luoghi comuni da superare. «Il primo è quello che spesso riecheggia sul sagrato: se i preti sono su Facebook, chi si occuperà del popolo di Dio? Ma il popolo di Dio è dentro e fuori la Rete», sottolinea Rivoltella. Poi va arginata anche l’opzione opposta. «Si tratta del tecno-entusiasta che tende a trasferire tutto nel social network. Un criterio che, qualora venisse applicato in ambito ecclesiale, sfocerebbe nella confessione online o nella surrogazione della vita di fede dentro il Web». Serve, quindi, muoversi nel mare «sociale» della Rete secondo la logica «della prossimità», quasi come un Samaritano hi-tech. Ma soprattutto, aggiunge il docente, c’è bisogno di «uno stile paritario che si sposa con il volto di una Chiesa che comunica da 'vicino di casa'. Questa orizzontalità favorisce la costruzione di comunità virtuali che comunque vanno collegate a quelle sul territorio».
Poi c’è il tema dei linguaggi. «Le dinamiche comunicative dentro i social network – afferma il sacerdote 'tecnologico', don Paolo Padrini, direttore dell’Ufficio comunicazioni sociali della diocesi di Tortona – hanno una certa consonanza con quelle ecclesiali. E questo rende interessante e ambizioso, dal punto di vista del coraggio evangelico, l’integrazione delle relazioni attraverso il Web». L’importante è esserci, mostrando in modo chiaro la propria identità. «I sacerdoti abiteranno la Rete da pastori. E, così come avviene nelle parrocchie, saranno chiamati a far percepire la vicinanza di Cristo e a favorire l’incontro autentico col Signore nell’Eucaristia e nell’ascolto della Parola». E i laici? «Dovranno essere testimoni sul Web: bisogna stare in questi luoghi annunciando la fede come se si fosse in piazza o a casa. E quando si vive il social network, non va dimenticato di essere cristiani».

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