L’ italiano in tivù? A dispetto delle apparenze si scopre che non è poi così male. Ad affermarlo una ricerca condotta per due anni da 40 ricercatori di 5 università italiane, che hanno selezionato, trascritto e analizzato con metodo scientifico decine di ore di programmi, per tracciare le evoluzioni della lingua italiana in 30 anni di tv. Ieri e oggi, presso la Sala Napoleonica dell’Università degli Studi di Milano, si sta facendo il punto dei risultati nel convegno 1976-2006, l’italiano televisivo: gli atti verranno pubblicati dall’Accademia della Crusca. Oggi si chiude con una tavola rotonda: tra gli opiti, Fabio Fazio, Aldo Grasso, Alessandro Zaccuri, Milly Buonanno.
«È la prima volta che l’evoluzione dell’italiano in tv viene analizzata con criteri scientifici» spiega la professoressa Ilaria Bonomi, coordinatrice della ricerca finanziata dal Ministero e responsabile del dipartimento di Filologia Moderna della Statale di Milano. Si sono individuati diversi generi televisivi analizzati rispettivamente dall’Università di Catania (soap opera e fiction), della Tuscia (linguaggio scientifico e politico), di Milano (notiziari), Genova (intrattenimento) e Firenze con la funzione di coordinare e preparare un 'corpus' definito Lit (Lessico italiano televisivo).
«Ci sono state fornite da Rai, Mediaset e La7 decine di ore di trasmissioni dal 1976 ad oggi, data della liberalizzazione delle frequenze tv – spiega la docente –. Abbiamo dovuto trascrivere tutto ed elaborare un metodo di confronto tra espressioni ricorrenti per creare una banca dati».
Alla fine, che lingua italiana ne è risultata? «Per esempio, per l’informazione il catastrofismo non è giustificato – spiega la Bonomi –. Quello dei notiziari è un parlato seriosemplice. Comunque in 30 anni di tv c’è stata un’evoluzione verso la spettacolarizzazione, il cercare l’attenzione del pubblico, la sua complicità. Si dà più spazio al parlato dei cittadini, c’è più oralità e spontaneità». E così generi come la fiction tv hanno sempre più adottato un italiano colloquiale, mentre i programmi per ragazzi mantengono un discorso costruito. I programmi contenitore hanno virato verso una conversazione spettacolarizzata, al pari del linguaggio della politica che negli ultimi 15 anni è diventato meno specializzato e più «generalista», col rischio di diventare «contenutisticamente vacuo ma economicamente interessante». Promossi i programmi di divulgazione scientifica a patto però che «dalla dimensione di spettacolo non si passi a quella del fantastico». «Ci sono più congiuntivi a posto in tv di quanto si pensi» aggiunge il professor Marco Biffi dell’Università di Firenze. «Fino al ’76 la tv ha svolto un ruolo guida nella lingua, poi si è sempre più avvicinata allo standard della lingua parlata. Uno standard medio che possiamo definire buono».
DI ANGELA CALVINI