UFFICIO NAZIONALE PER LE COMUNICAZIONI SOCIALI
DELLA CONFERENZA EPISCOPALE ITALIANA

Stampa diocesana, sfida di parola

Alla vigilia dell’assemblea elettiva della Fisc  (Roma, 28-30 novembre) in una intervista ad Avvenire  il presidente Francesco Zanotti traccia un primo bilancio di questi ultimi tre anni. «I nostri periodici, - afferma - sono piazze del dialogo e avamposti nella missione della Chiesa».
26 Novembre 2013
Tre anni vissuti senza fiato, correndo da un angolo all’altro dell’Italia per rendersi conto, conoscere, dialogare, consigliare, decidere. Al termine del suo mandato di presidente della Federazione italiana settimanali cattolici (ma i pronostici ne danno per probabile la conferma), e alla vigilia dell’assemblea elettiva da giovedì a Roma, Francesco Zanotti, direttore del Corriere Cesenate, tira le somme della sua presidenza e spinge lo sguardo alle prossime sfide.

Che cos’ha imparato da questi anni alla guida della Fisc in un settore come l’editoria nel quale i cambiamenti avvengono a un ritmo sempre più accelerato, anche in casa cattolica?
Traccio un bilancio positivo, nonostante la crisi economica che colpisce anche le attività editoriali. Mi pare che il segno distintivo di questo triennio siano state la serenità e la condivisione. Può apparire poco, ma per noi è stato un bellissimo tratto di strada percorso assieme. Siamo messi a servizio di in un lavoro collegiale per il quale a qualcuno è affidata una rappresentanza istituzionale.

A quali cambiamenti ha assistito nel mondo delle testate diocesane?
Si è allargato lo sguardo, oltre il confine del giornale cartaceo. Si scruta la Rete non più come un concorrente che potrebbe farci morire ma come a un ambiente da sfruttare per uscire dall’angolo settimanale nel quale alle volte ci sentiamo un po’ confinati. Internet ci inquieta, ma ci tiene anche desti in modo da cogliere opportunità. Abbiamo 19 giornali in lista per il progetto di un sito online secondo uno schema pensato e realizzato con il Sicei e la Unitelm. Inoltre è cambiato il modo di intendere il giornale, non solo in vista dell’uscita cartacea, ma anche per lanciare subito le notizie in rete grazie a fotogallery, video, news. Un bel cambiamento, di lavoro e di mentalità.

Incontrando in tutta Italia professionisti e volontari dei media diocesani quali risposte ha visto dare alle nuove esigenze di informazione della gente e nella Chiesa?
La gente ha sete e avverte un forte bisogno di buone notizie, ma non vuole il facile ottimismo. Credo che i lettori domandino di leggere la realtà in tutte le sue sfaccettature. Noi diciamo di voler raccontare quella parte di Paese che non emerge quasi mai. Sono le periferie di cui parla papa Francesco. Perché la gente vuole sentirsi dire che la speranza non muore.

Verso dove sta andando la stampa diocesana?
A volte si respira un’aria di riduzionismo. Se i bilanci dei nostri giornali soffrono, a qualcuno pare il momento opportuno per ridurre pagine e notizie. È sufficiente – ci si dice in alcuni casi – un bollettino diocesano o poco più. Nulla di più sbagliato. Più ci si chiude dentro il recinto ecclesiale e più il giornale muore. Oggi invece i nostri periodici devono proporsi come piazza, luogo di dialogo. Ce lo disse in maniera esplicita Benedetto XVI nel 2006 quando ci ricevette in udienza particolare. Ce lo chiede oggi papa Francesco quando ci invita ad abbattere muri e a costruire ponti. Ecco, i nostri giornali possono e vogliono essere uno strumento privilegiato per per essere «avamposti nella missione» della Chiesa, come fummo definiti al Convegno ecclesiale di Verona.

Il rapporto tra carta e altri supporti si fa sempre più complesso: qual è il punto di equilibrio, a suo modo di vedere, per i media cattolici, e per quelli diocesani in particolare?
Il punto di equilibrio è dentro noi stessi. Sappiamo cosa vogliamo dire e fare, oppure desideriamo occupare spazi? Ricordo di frequente la parabola della vedova che ritrova la dracma. Lei è contentissima per questo fatto, non può tenerlo per sé, e allora fa festa con i vicini. Così vale per noi: se abbiamo trovato un tesoro, non lo possiamo sotterrare. Abbiamo una notizia di grande valore da annunciare sui tetti. A questa notizia dobbiamo ispirare tutto il nostro fare. Il resto è solo conseguenza di una consapevolezza: dipendiamo da un Altro.

Un giovane che vuole mettere a frutto le sue attitudini comunicative e la sua sensibilità religiosa nei media cattolici locali deve mettere da parte il proprio sogno, viste le difficoltà di tutto il settore?
Mai, assolutamente. I sogni vanno coltivati, sempre e comunque. Io devo tutto a questa Federazione, anche della mia storia personale. Nel 1992, a Treviso, per i cento anni della Vita del popolo guidata allora da Dino Boffo feci il mio timido esordio nel mondo Fisc. Avevo 32 anni. Ho avuto la possibilità di conoscere persone meravigliose che mi hanno insegnato tantissimo, non solo in termini professionali. Veri e propri maestri. Avevo un sogno nella mia giovinezza: fare il giornalista. Poi la vita mi ha riservato una laurea in economia e un posto in banca. Però ho sempre coltivato quella passione­vocazione che mi sentivo dentro, fino a farne sei anni fa la mia unica professione e a misurarmi con l’esame di stato a 50 anni. Mi sono affidato e fidato. Il Signore conduce dove uno non pensa, ma rende tutto moltiplicato. Ogni mattina, al risveglio, ho un solo pensiero: grazie.