Graziella
Si chiamava Graziella. Come Anna, la profetessa del Vangelo, passava le sue giornate in chiesa. Signorina, aveva sposato un vedovo con 4 figli per i quali fu mamma premurosa e attenta. Presto Antonio, il marito, fu colpito da malattia rara e gravissima che lo costrinse per il resto della vita sulla sedia a rotelle. Graziella fu il suo angelo custode, lo accompagnò, lo curò, lo amò fino alla morte. Era devotissima del Volto Santo, la cui icona si venera a Napoli, nel santuario di Capodimonte. Il giorno 10 di ogni mese partiva con un pullmann carico di pellegrini per portali ai piedi di Gesù. A Caivano, il paese in provincia di Napoli dove viveva, dopo il terremoto del 1980, sorse un quartiere nuovo per dare casa ai senzatetto. Graziella comprese che quella nuova parrocchia necessitava di essere aiutata e cominciò a frequentarla assiduamente assieme a qualche amica. Poco tempo dopo fui mandato dal vescovo come parroco. La conobbi che era già anziana. «Che aiuto, potrà darmi questa vecchietta buona e semplice?», pensai. Mi sbagliavo di grosso. Presto Graziella divenne l’anima della parrocchia, la nonnina di tutti. La sua borsa sembrava il cappello del pifferaio, sempre piena di caramelle, oggetti religiosi e il termos con il caffè per il parroco. Era proprio una di quelle persone belle che tutti vorrebbero incontrare nella vita. Innamorata di Gesù, della Madonna, del Papa, dei sacerdoti. A volte arrivava piagnucolando. «Che c’è?» le chiedevo. E lei: «Padre Maurizio, Gesù non è amato. Bisogna salvare le anime ». Come i santi mistici soffriva – anche fisicamente – nel constatare che «l’Amore non è amato». E si dava da fare. Le famiglie la chiamavano al capezzale dei moribondi e dei defunti per essere aiutate a pregare. Gli studenti la cercavano per chiederle preghiere nei tempi degli esami. Morivo dalle risate quando la sentivo pronunciare – era semianalfabeta – il nome dell’esame per cui stava pregando. In parrocchia presto trovò la sua vera vocazione: la buona stampa. Era lei che si faceva carico della vendita di Famiglia Cristiana e Avvenire. Si metteva all’ultimo banco con il suo carico di giornali. Ogni domenica, tenace, gioiosa, partecipava a quattro Messe e quando non poteva affidava a qualche amica i giornali. Ogni persona che entrava in chiesa era da lei innanzitutto accolta con il sorriso della nonna buona. Poi subito: «Prendete Avvenire, Famiglia Cristiana.
Leggete, è importante, dice padre Maurizio». Gli anni che passavano la invecchiavano nel corpo, ma indomito lasciava il suo animo sempre di più innamorato di Gesù. Una fede granitica. Spesso la prendevo in giro: «Graziella si avvicina l’ora della resa». E lei: «Non ho paura della morte… Vado a vedere il volto di Gesù ». Sabato mattina si è sentita male. Prima di essere trasportata in ospedale ha consegnato a qualcuno il ricavato dei giornali venduti pregandolo di farli avere al parroco. Nel giro di poche ore si è aggravata. Don Adriano è corso a darle l’Olio degli Infermi; lei ha partecipato al rito, ha aperto le sue mani, ha fatto per l’ultima volta il segno di quella croce. Al termine, mentre recitava l’Ave Maria, ha perso conoscenza. Trasportata a casa, gli angeli le hanno messo un bellissimo paio di ali ed è volata via. Al suo funerale ha preso parte tutto il paese. La Chiesa era strapiena come la notte di Natale. A volte, scherzando, le dicevo: «Graziella, guarda che non sarò io a celebrare il tuo funerale. Ti voglio troppo bene, sono certo che non ce la farei». E così è stato. Dai primi giorni dell’anno nuovo sono stato a letto con febbre, tosse e senza voce. Una grazia. Un sacerdote, figlio della nostra parrocchia, don Adriano appunto, ha celebrato il rito. E ha voluto ricordare quel lontano giorno del marzo del 1992, quando per la prima volta mise piedi in chiesa. Graziella lo guardò e gli disse: «Giovanotto come sei bello, sei un seminarista?».
«Che cos’è un seminarista?» le chiese don Adriano. Talenti. A tutti sono stati dati. Io non so quanti talenti Graziella abbia ricevuto in dono. Una cosa posso dire con certezza: li ha spesi tutti, fino all’ultimo centesimo, per la gloria di Dio e la salvezza del mondo. Quante «Grazielle» ci sono nelle nostre chiese? A quante di queste persone, semplici, nascoste, umili abbiamo il dovere di dire grazie? La comunione nella Chiesa non è facoltativa. Al contrario, è alla base del nostro essere cristiani e della efficacia della nostra testimonianza. Nel campo di Dio c’è chi semina e chi raccoglie; chi innaffia e chi concima. Ma è il Signore che fa crescere. Graziella è stata una apostola della stampa cattolica a pieno titolo. Ha reso un servizio alla nostra comunità e alla Chiesa. Gratuitamente e nel nascondimento. È passata nella nostra vita e ci ha fatto tanto bene. Adesso, ne sono certo, sta pregando per noi e per i giornali che ha venduto per tanti anni. Mi sembra di sentirla ancora: «Prendete Avvenire, Famiglia Cristiana. Leggete, è importante, ha detto padre Maurizio...».
(don Maurizio Patriciello)
Oreste
Oreste De Pietro è il responsabile della comunicazione del progetto Portaparola dell’unità pastorale di Castel Maggiore, Bologna. Come tale da tanti anni si occupa, con entusiasmo e impegno costante, roccaforte della diffusione del giornale dei cattolici, di diffondere in parrocchia e non solo il settimanale diocesano Bologna Sette . «Uno strumento importante per il lancio di notizie e di informazioni che riguardano la realtà locale. Bo7, come lo chiamiamo noi, consente di creare un rapporto immediato tra la diocesi, le parrocchie e la vita del territorio – commenta –. Non si tratta soltanto di un mezzo di collegamento ecclesiale, ma di un’opportunità per tutti di guardare il territorio da un osservatorio particolare che è la Chiesa di Bologna». Per questo De Pietro, insieme con altri parrocchiani, ha organizzato iniziative di sensibilizzazione per favorirne la diffusione. «La vita delle parrocchie non può prescindere da Bologna Sette – continua –. Il giornale collega la parrocchia alla vita della diocesi e permette di attingere direttamente agli orientamenti pastorali dell’Arcivescovo, crea una rete di relazioni attraverso la condivisione di eventi, iniziative, progetti che altrimenti rimarrebbero nei circuiti delle singole realtà ecclesiali e rappresenta uno spazio di riflessione ampia». Il motivo di questo impegno è semplicissimo per De Pietro. «Se è vero che la missionarietà della parrocchia dipende anche dal corretto utilizzo dei mezzi di comunicazione – conclude – sicuramente Bologna Sette rappresenta uno strumento imprescindibile per una pastorale aperta alla comunità. Radicarsi in modo incisivo in un territorio è un’esigenza per tutte le parrocchie, diventa una priorità se si tratta di unità pastorali nelle quali bisogna impegnarsi maggiormente per favorire la coesione e l’integrazione nelle varie iniziative». La diffusione del giornale diocesano è parte integrante della vita parrocchiale, però «necessita di un occhio più attento ai giovani – afferma De Pietro –. Forse conquistare Facebook e Twitter potrebbe essere un valido punto di partenza per far conoscere ancora di più il giornale».
Elda
Ha 89 anni e da 38 diffonde Avvenire, la «buona stampa», come Elda Marchesin continua a chiamarla da quel giorno del 1976 in cui, insieme con il parroco Pietro Mazzarotto, il marito e un gruppo di parrocchiani, partecipò a un incontro con un delegato del giornale. Lì venne presa la decisione di costituire un gruppo stampa con l’obiettivo di promuovere la conoscenza e la diffusione appunto della «buona stampa», in particolare Avvenire.
«Il gruppo comprende persone di diversa età e provenienza, accomunate dalla convinzione che la stampa gioca un ruolo fondamentale nella formazione delle persone, specie dei più giovani, e in quella dell’opinione pubblica», ricorda Elda, che anche domenica scorsa ha svolto puntualmente il suo servizio.
Da allora, ogni domenica mattina, la signora provvede al ritiro dalle copie del quotidiano da distribuire agli abbonati e delle copie da vendere all’uscite delle Messe domenicali. Si occupa in prima persona della consegna e vendita del giornale all’uscita della prima Messa del mattino. A Sacile, a ogni Messa, sono presenti membri del gruppo messo in piedi da lei, che invitano i parrocchiani ad acquistare e leggere il quotidiano; inoltre, ogni settimana, viene preparato un cartellone in cui sono raccolti ed evidenziati gli articoli più significativi usciti su Avvenire. «I primi passi sono stati faticosi – ricorda Elda – ma gli ostacoli sono stati superati non solo grazie alla buona volontà e all’impegno di tutti i componenti del gruppo, ma anche grazie alla disponibilità e all’apertura di un buon numero di parrocchiani, i quali, avendo ben compreso il valore del quotidiano, iniziano ad acquistarlo regolarmente e, in diversi casi, ad abbonarsi». Non va dimenticato che gli anni Settanta sono gli anni delle contrapposizioni ideologiche. A fianco di tante persone che imparano a conoscere e ad apprezzare Avvenire, fino a diventarne lettori abituali, ve ne sono altre, anche fra quelle impegnate in parrocchia, che si rifiutano «per questioni di principio» di leggere la stampa cattolica. La signora Marchesin ha continuato con costanza a invitare tutti a leggere il quotidiano e a giudicarlo senza pregiudizi. Questa sua tenacia verrà in diversi casi premiata. «Alcune di queste persone, diversi anni dopo, sono diventati dei lettori affezionati ». Il numero di copie distribuite domenica cresce, passando da 50 a 70, fino ad arrivare a 100. Numerosi lettori decidono di abbonarsi, alcuni a uno o due numeri settimanali, altri sottoscrivono abbonamenti giornalieri. Il gruppo organizza anche incontri culturali con figure di spicco del mondo cattolico, la maggior parte delle quali conosciute sulle pagine del quotidiano. Nelle grandi occasioni (le giornate del quotidiano), vi è una «chiamata alle armi» di tutte le risorse disponibili (vecchi membri del gruppo stampa, ma anche ragazzi dell’Agesci e dell’Azione cattolica), ma nelle domeniche ordinarie sulla barricata è presente sempre lei, la signora Elda, col sostegno convinto del parroco, don Graziano De Nardo. Nemmeno una caduta, con conseguente frattura dell’omero è riuscita a fermarla. E quando serve, si fa accompagnare da figli e nipoti.