Don Ruggero, razza Friuli, fende Gorizia in sella alla sua bicicletta. Don Vincenzo, a Rieti, lo insegue sotto il suo cappello nero appoggiandosi a un bastone. Don Lino – scelta sua o di Sergio Canelles? – alle spalle ha una fila di panni stesi da casa a casa, a impavesare il quartiere dei minatori di Iglesias. E don Icilio, a Pienza, beffa le sue ottanta primavere abbondanti avviandosi con passo da centrocampista verso la sua automobile. Che preti, questi preti. Tv2000 ha deciso di incontrarne alcuni. Belli stagionati, rigorosamente con più di 40 anni da parroco. Un cronista sportivo commenterebbe: vecchi ma pur sempre validi, bomber nell’anima che non smettono mai di buttarla dentro, la palla. «Vita da preti. Le storie. Le comunità» è il programma di Sergio Canelles che dedica ad ogni ritratto un quarto d’ora, per due ritratti a puntata, da un capo all’altro dell’Italia. Il primo è don Ruggero Dipiazza, 50 anni da parroco, che sul confine ci sta da sempre, goriziano che ha vissuto la guerra fredda, il disgelo e, ora, un altro genere di 'freddo', annidato più nelle anime. Parroco di San Rocco, la parrocchia più a Nordest, incastrata tra due mondi, che di sé e della sua gente dice: «Siamo marginali affetti da sindrome del confine: lontani dal centro, separati dei nostri 'vicini'». Dal confine al centro del Paese, a Rieti, dove don Vincenzo Santori, parroco di Regina Pacis, mormora un «che stanchezza» quando ricorda le notti passate accanto a un malato, nella sua stanza, «perché un tempo si viveva si soffriva si moriva in casa», ma tutta la stanchezza sembra metterla sotto il cappello e riparte.
Seconda puntata e un altro «confine», un’isola - la Sardegna - e la città dei minatori del Sulcis, Iglesias, ossia «la città delle chiese», dove don Lino spiega: «Il parroco è un papà, un pastore, un riferimento». E infine Pienza, nel Senese, nemmeno duemila abitanti ma 14 ristoranti e decine di negozi, baciata e travolta dal turismo, così che – annota don Icilio Rossi, ben 59 anni da parroco – «quei rapporti che erano la vera ricchezza dei nostri paesi si affievoliscono: non c’è più la piazza, non c’è più nemmeno il tempo».
Soltanto vite da preti? Riduttivo. Il programma di Canelles dimostra che indagare sui parroci significa esplorare e scoprire la gente, i quartieri e i paesi, e gli italiani veri, quelli estranei agli esibizionismi televisivi. L’Italia dei lavoratori, degli studenti e delle casalinghe. O di quei ragazzi a cui don Ruggero ricorda: «Ho sempre detto loro che devono volare alto». A dirlo sono rimasti alcuni genitori e professori, un paio di cantautori e molti sacerdoti. «Vita da preti» è la riprova di quanto la Chiesa, sia pure scossa dalla secolarizzazione, abbia ancora radici profonde nel tessuto del Paese e sia una delle ultime «cose» reali, non virtuali rimaste in vita, fatta di persone, di incontri, di relazioni. E loro, i preti? Uomini di preghiera e di azione. Don Icilio è immortalato mentre impartisce la benedizione sul sagrato, sotto la pioggia; ma subito dopo confessa: «Avrei dovuto studiare di più, lo ammetto. Mi piaceva troppo il calcio. Ho giocato perfino in serie A con il Siena: mi venivano a prendere, saltavo dalla finestra e in Seminario non si accorsero mai di niente». O forse se ne accorsero, ma anche il rettore era un tifoso...