Come cambia la didattica con l’introduzione delle tecnologie digitali? Si impara di più e con maggior facilità se, oltre ai libri, si studia anche sul tablet? Sono queste le principali domande cui cercherà una risposta il progetto Motus (Monitoring tablet utilization in school), promosso dal Cremit, il Centro di ricerca per l’educazione ai media, all’informazione e alla tecnologia dell’Università cattolica di Milano.
La sperimentazione comincerà la prossima settimana, con l’avvio del nuovo anno scolastico e si concluderà a maggio, coinvolgendo otto scuole: i Centri salesiani Don Bosco di Treviglio (Bg), Chiari (Bs) e Verona; il Collegio San Carlo e l’Istituto Pavoniano Artigianelli di Milano; l’Istituto tecnico Carlo Emilio Gadda di Fornovo (Pr), il Liceo scientifico Leonardo da Vinci di Jesi (An) e la Fondazione Ikaros di Grumello e Calcio (Bg). Complessivamente, saranno interessate oltre venti classi, per circa 600 studenti e un centinaio di insegnanti.
La metodologia utilizzata è quella della ricerca-azione, in questo caso sull’uso didattico dei tablet in classe. Le scuole partecipanti saranno dotate di iPad, anche se, in alternanza con la tecnologia digitale, continueranno ad utilizzare libri e quaderni. L’idea è infatti quella di arricchire gli strumenti a disposizione, non di sostituire quelli già in uso.
Due gli obiettivi esplicitati dal gruppo di lavoro del Cremit che, in questi mesi, ha messo a punto la sperimentazione. Sul versante della didattica, lo scopo è abilitare processi di “didattica attiva” sostenuta dai media digitali; sul fronte della ricerca, l’indagine è volta invece a capire come cambiano le pratiche di insegnamento e di apprendimento nella classe 2.0. «Le recenti azioni di finanziamento alle scuole per l’integrazione didattica di tecnologie digitali – spiegano i ricercatori del Cremit – in particolare i dispositivi mobili, unitamente alle retoriche pubbliche abbondantemente circolanti in tema di innovazione delle scuola attraverso queste tecnologie, stanno producendo una sensibile attivazione al riguardo di diversi istituti, statali e non statali, e di diversi centri per la formazione professionale».
L’interesse, sottolineano al Centro di ricerca di Largo Gemelli, non è però sufficiente a garantire la qualità delle innovazioni introdotte, innanzitutto sul versante della didattica e dell’apprendimento. «La percezione – prosegue l’équipe di ricerca – è che questo processo, ove non sorretto da dispositivi di monitoraggio di qualità e di accompagnamento didattico/formativo, possa generare turbolenza senza risultati, correndo il duplice rischio di lasciare intatte le pratiche tradizionali degli insegnanti o di ridurre l’apporto dello strumento al suo uso tecnico, risolvendo quella che dovrebbe essere un’operazione didattica su un piano esclusivamente tecnologico». L’intento, insomma, non è soltanto quello di introdurre nuovi strumenti di studio, aggiungendo il tablet al libro, ma di verificare se le tecnologie digitali possono avere o meno effetti positivi sull’attività didattica in classe. Per scoprirlo, i ricercatori hanno pensato a diversi momenti di verifica nel corso dell’anno, coinvolgendo docenti, studenti e anche i genitori. All’inizio del progetto sarà, a questo proposito, somministrato un questionario a tutti i partecipanti e l’operazione sarà ripetuta anche al termine della sperimentazione. Durante la realizzazione del progetto saranno quindi organizzati focus group con gli studenti, sessioni di osservazione in aula, mentre dei “coach” affiancheranno gli insegnanti per aiutarli ad affrontare le criticità. Inoltre, momenti di formazione specifici potranno essere previsti nelle singole realtà scolastiche o in sinergia tra due o più di esse. Le scuole, infatti, lavoreranno in rete proprio per favorire lo scambio di esperienze e condividere iniziative e progetti realizzati a livello locale.