UFFICIO NAZIONALE PER LE COMUNICAZIONI SOCIALI
DELLA CONFERENZA EPISCOPALE ITALIANA

Tablet in classe? Si impara…

L'anno scolastico al via sarà “rivoluzionato” dall’introduzione degli ausilii tecnologici: una ricerca promossa dal Centro per l’educazione ai media dell’Università Cattolica di Milano si chiede se saranno effettivamente di aiuto per motivare i ragazzi e semplificare le lezioni in aula.
10 Settembre 2012
Come cambia la didattica con l’in­troduzione delle tecnologie digi­tali? Si impara di più e con mag­gior facilità se, oltre ai libri, si studia an­che sul tablet? Sono queste le principali domande cui cercherà una risposta il progetto Motus (Monitoring tablet utili­zation in school), promosso dal Cremit, il Centro di ricerca per l’educazione ai media, all’informazione e alla tecnologia dell’Università cattolica di Milano.
La sperimentazione comincerà la pros­sima settimana, con l’avvio del nuovo anno scolastico e si concluderà a mag­gio, coinvolgendo otto scuole: i Centri salesiani Don Bosco di Treviglio (Bg), Chiari (Bs) e Verona; il Collegio San Car­lo e l’Istituto Pavoniano Artigianelli di Milano; l’Istituto tecnico Carlo Emilio Gadda di Fornovo (Pr), il Liceo scienti­fico Leonardo da Vinci di Jesi (An) e la Fondazione Ikaros di Grumello e Calcio (Bg). Complessivamente, saranno inte­ressate oltre venti classi, per circa 600 studenti e un centinaio di insegnanti.
La metodologia utilizzata è quella della ricerca-azione, in questo caso sull’uso didattico dei tablet in classe. Le scuole partecipanti saranno dotate di iPad, an­che se, in alternanza con la tecnologia digitale, continueranno ad utilizzare li­bri e quaderni. L’idea è infatti quella di arricchire gli strumenti a disposizione, non di sostituire quelli già in uso.
Due gli obiettivi esplicitati dal gruppo di lavoro del Cremit che, in questi mesi, ha messo a punto la sperimentazione. Sul versante della didattica, lo scopo è abi­litare processi di “didattica attiva” so­stenuta dai media digitali; sul fronte del­la ricerca, l’indagine è volta invece a ca­pire come cambiano le pratiche di inse­gnamento e di apprendimento nella classe 2.0. «Le recenti azioni di finan­ziamento alle scuole per l’integrazione didattica di tecnologie di­gitali – spiegano i ricerca­tori del Cremit – in parti­colare i dispositivi mobili, unitamente alle retoriche pubbliche abbondante­mente circolanti in tema di innovazione delle scuo­la attraverso queste tec­nologie, stanno produ­cendo una sensibile atti­vazione al riguardo di diversi istituti, sta­tali e non statali, e di diversi centri per la formazione professionale».
L’interesse, sottolineano al Centro di ri­cerca di Largo Gemelli, non è però suf­ficiente a garantire la qualità delle in­novazioni introdotte, innanzitutto sul versante della didattica e dell’apprendi­mento. «La percezione – prosegue l’é­quipe di ricerca – è che questo proces­so, ove non sorretto da dispositivi di mo­nitoraggio di qualità e di accompagna­mento didattico/formativo, possa ge­nerare turbolenza senza risultati, cor­rendo il duplice rischio di lasciare intat­te le pratiche tradizionali degli inse­gnanti o di ridurre l’apporto dello stru­mento al suo uso tecnico, risolvendo quella che dovrebbe essere un’opera­zione didattica su un piano esclusiva­mente tecnologico». L’intento, insomma, non è soltanto quel­lo di introdurre nuovi strumenti di stu­dio, aggiungendo il tablet al libro, ma di verificare se le tecnologie digitali pos­sono avere o meno effetti positivi sul­­l’attività didattica in clas­se. Per scoprirlo, i ricer­catori hanno pensato a diversi momenti di veri­fica nel corso dell’anno, coinvolgendo docenti, studenti e anche i geni­tori. All’inizio del pro­getto sarà, a questo pro­posito, somministrato un questionario a tutti i partecipanti e l’operazione sarà ripetu­ta anche al termine della sperimenta­zione. Durante la realizzazione del pro­getto saranno quindi organizzati focus group con gli studenti, sessioni di os­servazione in aula, mentre dei “coach” affiancheranno gli insegnanti per aiu­tarli ad affrontare le criticità. Inoltre, mo­menti di formazione specifici potranno essere previsti nelle singole realtà scola­stiche o in sinergia tra due o più di esse. Le scuole, infatti, lavoreranno in rete proprio per favorire lo scambio di espe­rienze e condividere iniziative e proget­ti realizzati a livello locale.