«Testimoni digitali» ha dimostrato che ognuno di noi deve assumere una consapevolezza: la relazione interattiva e crossmediale ci interpella, ci vuole attori. Che un cristiano debba essere testimone autentico nella sua vita non è certo una novità. Siamo nell’epoca della convergenza digitale, del turbinìo di messaggi e linguaggi che ci investono ogni attimo; tutto questo non è più relegabile a un piano parallelo della vita, ad un online fittizio. Otto anni fa, da giovanissimo redattore di un piccolo giornale di parrocchia, mi catapultai a «Parabole mediatiche». Subito dopo mi misi in ricerca, per essere – come disse l’allora cardinale Ratzinger – un buon «intagliatore di sicomori». Oggi torno a casa cercando la via migliore per costruire, come ha esortato il Papa, il «portico dei gentili», una rete in cui sia reale l’accoglienza verso tutti. La mia testimonianza nelle reti sociali dev’essere vocazione, fatta di presenza attenta, ogni giorno, perché la mia piazza si chiama anche 'bacheca', 'stream', 'forum'. Come Chiesa abbiamo scelto di esserci, trasformando la sfida in prassi. Che sappia mettere insieme cultura e comunicazione, con competenza e delicatezza intrise di rispetto per l’uomo, che mai dev’essere solo un target ma persona fatta di corpo e di anima, anche nel continente digitale.
Salvatore Scolozzi, Lecce