Potenzialità sprecate, opportunità di nuovo apprendimento inespresse. La scuola italiana è più tecnologica nella teoria che nella pratica. Strumenti e supporti informatici non mancano, tutti ne apprezzano l’utilità, ma il loro reale utilizzo resta marginale, occasionale se non sporadico. I tratti di una scuola che guarda all’innovazione a passi lenti, li ha tracciati un’indagine di Adiconsum, svolta in tutta Italia fra docenti, studenti e genitori, mettendo in evidenza una contraddizione in termini: il 73,5% degli istituti ha un’aula di informatica ben attrezzata e nel 66% dei casi si dispone di una connessione internet a scuola, ma il 35% degli studenti utilizza l’aula solo una volta a settimana (e quasi sempre per materie inerenti l’informatica), il 77% non usa mai la lavagna multimediale (Lim) e, infine, il 42% degli insegnanti utilizza supporti elettronici allegati a libri di testo meno di una volta al mese.
Una carenza che sembra penalizzare i desideri di tutti. Insegnanti, studenti e genitori, infatti, ne riconoscono la straordinaria utilità. In particolare i ragazzi, che sottolineano l’importanza di queste risorse ritenendole cruciali «per migliorare l’apprendimento, la comprensione della didattica e soprattutto in grado di rendere le lezioni più piacevoli ». Una piacevolezza legata alla tecnologie, che i giovani sperimentano ad oggi soprattutto in privato, utilizzando pc e connessione al web per scopi tutt’altro che scolastici: «I ragazzi – spiega Silvia Landi, curatrice della ricerca – non hanno l’opportunità di utilizzare in ambito scolastico strumenti che quotidianamente utilizzano in casa o dagli amici. Il pc viene usato così soltanto per scopi ludici e comunicativi e non per studiare».
Poca penetrazione nelle aule hanno avuto anche i supporti multimediali ai libri di testo; seppure molto caldeggiati da alunni e insegnanti, compaiono poco o nulla nella didattica per le esercitazioni a casa: il 33% li utilizza in classe meno di una volta al mese. A fare da zavorra, secondo l’opinione dei docenti, gli scarsi investimenti del Ministero, l’assenza di incentivi economici e di strumentazioni «personalizzate», come i pc ad uso personale per gli alunni, a favore di quelle «collettive», ovvero aule in cui recarsi a fare lezione. Non solo. A fare acqua è anche «un adeguato percorso di formazione – ha aggiunto Landi – per comprendere come tali strumenti possano essere calati nella didattica curriculare ». Ma il Ministero dell’istruzione, a suo dire, non sta con le mani in mano. Un Piano nazionale per la scuola digitale sta gradualmente innovando gli istituti, facendo formazione e progettando una didattica collaborativa, messa in rete e interattiva: «Sono già 365mila gli alunni che hanno in classe una Lim – ha sottolineato Rossella Schietroma, dirigente ufficio V Direzione generale per gli studi, la statistica e i sistemi informativi –. Mentre sono oltre 400 le classi digitali, con alunni dotati di computer e strumentazioni avanzate». Il percorso di innovazione progettato dal Ministero, ha precisato Schietroma, si pone come obiettivo la sperimentazione di un nuovo ambiente di apprendimento, che «favorisca l’interattività, una nuova organizzazione didattica, senza tralasciare un’azione sinergica con l’intero consiglio di classe e non il singolo docente. Cruciale anche una formazione flessibile». Iniziative strategiche per favorire un’alfabetizzazione tecnologica di qualità, «fondamentale – ha concluso Landi – per le opportunità professionali future di questi ragazzi».