UFFICIO NAZIONALE PER LE COMUNICAZIONI SOCIALI
DELLA CONFERENZA EPISCOPALE ITALIANA

«Testimoni digitali» per i nuovi media

Con una intervista al quotidiano Avvenire, mons. Domenico Pompili lancia la seconda edizione di “Parabole mediatiche”. Si terrà a Roma dal 22 al 24 aprile 2010 e chiamerà a raccolta il popolo della comunicazione e della cultura. Dopo quasi otto anni gli operatori delle comunicazioni sociali e i referenti dei centri culturali si riuniranno nella capitale per approfondire nuovi temi, nuove problematiche e impegnarsi da “testimoni” nell’annuncio quotidiano del Vangelo.
20 Luglio 2009

Appassionati dei linguaggi dei nuovi media ma anche radicati nella propria iden­tità di fede; abili nel districarsi at­traverso i tratti mutevoli della cul­tura digitale ma sempre pronti a rendere ragione del proprio punto di vista, che è fermo e nitido. Quel­li che fanno cultura e comunica­zione all’interno delle comunità cri­stiane – che si tratti dei media vec­chi e nuovi, dell’esperienza teatra­le o delle sale della comunità – so­no cresciuti, sono maturati, au­mentati in numero e competenze e sono pronti a diventare sempre più «Testimoni digitali». Sarà questo, in­fatti, il tema del grande incontro promosso dalla Cei, che si terrà a Roma dal 22 al 24 aprile 2010 e che chiamerà a raccolta il popolo della comunicazione e della cultura del nostro Paese. Un popolo che si ri­trova insieme ancora una volta a ot­to anni da «Parabole mediatiche», il convegno che nel 2002 segnò l’ini­zio di una nuova epoca per la Chie­sa italiana nell’ambito della comu­nicazione e dei mass media. Come spiega monsignor Domenico Pompi­li, direttore dell’Uf­ficio comunicazio­ni sociali della Cei.
 Cosa è cambiato in questi anni?
 Il mutamento più evidente nel mon­do della comunica­zioni è quello che ha visto gli utenti diventare «produttori» di contenu­ti, soprattutto all’interno dei nuovi media e di internet. È il passaggio a quello che gli esperti definiscono
 web 2.0. In questo contesto nasce una precisa sfida che è quella di in­tegrare il «virtuale» dentro il «rea­le », superando la contrapposizione forzata tra queste due dimensioni. Virtuale non vuol dire «fantasma» o inesistente, ma piuttosto potenzia­le. E questa potenzialità spiega pu­re perché ancora una volta il di­scorso da intraprendere non sia a­settico o puramente tecnologico, ma sempre legato a doppio filo al­la libertà e alla responsabilità del­l’uomo. È l’uomo che fa la differen­za e che decide del passaggio ad e­sempio da una semplice connes­sione a una più compiuta relazio­ne.
 Come vive la Chie­sa questa sfida?
  Le comunità cri­stiane hanno sem­pre dimostrato di essere in grado di trovare nuove for­me di comunicazione. E lo hanno continuato a fare anche davanti a­gli strumenti offerti dalle tecnolo­gie digitali.
 In che modo, concretamente?
 Penso alle numerose realtà nazio­nali e locali che hanno risposto in questi ultimi anni alla necessità di entrare nei linguaggi digitali e dei nuovi media come in una «secon­da pelle» senza mai perdere il rife­rimento all’appartenenza ecclesia­le. Basta citare, ad esempio, la na­scita dei «Portaparola», che sono dei veri e propri mediatori culturali, o il corso e-learning per gli animato­ri della comunicazione e della cul­tura, Anicec, che dal 23 al 25 otto­bre prossimi riunirà ad Assisi quel­li diplomati in questi anni. E poi non va dimenticata tutta quella rete di persone impegnate nella comuni­cazione in parrocchia, nelle dioce­si, nelle associazioni e nelle realtà religiose: una rete capillare e vivace che va curata e fatta crescere.
 «Testimoni digitali» sarà l’occasio­ne per mettere in rete tutte queste realtà?
 Certamente: sarà un’occasione per intessere relazioni e, in un’ottica più ampia, di fare rete. È importante che tutte queste esperienze e queste persone si conoscano e si «raccor­dino » tra loro. E poi, valore aggiun­to non trascurabile, daremo l’op­portunità di dialogare con studiosi ed esperti dei nuovi media, tra que­sti abbiamo invitato anche il noto informatico statunitense Nicholas Negroponte.
 «Testimoni digitali»: da dove nasce il tema?
 Il sostantivo richiama l’atteggia­mento né pregiudiziale né rasse­gnato di fronte ai cambiamenti che stanno avvenendo sotto i nostri oc­chi mentre l’aggettivo digitale evo­ca precisamente il nuovo contesto in cui ci muoviamo, segnato dai ca­ratteri della istantaneità, della mol­teplicità, della pervasività. Ci muo­ve però una convinzione di fondo: ogni cambio tecnologico ha qual­cosa di «gattopardesco» nei suoi e­siti. Cambia tutto in effetti, ma per rispondere agli stessi bisogni di sempre dell’uomo. Come spiega il Papa nel messaggio per la Giorna­ta mondiale delle comunicazione sociali 2009: «Il desiderio di con­nessione e l’istinto di comunica­zione, che sono così scontati nella cultura contemporanea, non sono in verità che manifestazioni mo­derne della fondamentale e co­stante propensione degli esseri u­mani ad andare oltre se stessi per entrare in rapporto con gli altri». Ci troviamo, in effetti, di fronte a cam­biamenti incalzanti: da Second Li­fe a Facebook, da Facebook a Twit­ter. Tutti mutamenti evidenti, che cambiano la pelle della gente, per dirla con Derrick De Kerckhove (au­tore del testo «La pelle della cultu­ra »), ma non il cuore. Ciò spiega an­che perché i nuovi media non can­nibalizzano i vecchi, ma li innova­no. Basti pensare al successo delle radio cattoliche, delle tv locali o dei periodici dei religiosi, sempre più frequentemente anche on line.
 Come sarà strutturato l’incontro?
 Si è pensato ad un convegno «inte­rattivo ». Per questo alla giornata i­naugurale dove si darà il punto del nuovo contesto mass-mediale, se­guirà una sessione più esperienzia­le che faccia emergere il protagoni­smo cattolico nei media. Da ultimo, poi, l’incontro con Benedetto XVI, che fu tra l’altro l’autore della bel­lissima immagine degli «intagliato­ri di sicomori» durante «Parabole mediatiche» nel 2002.
 Quali sono gli obiettivi che vi siete posti?
 Ce ne sono davvero tanti. Ne enu­mero alcuni: elaborare una rifles­sione puntuale su credenti e nuovi media, così da suscitare «testimo­ni » che sappiano valorizzare le nuo­ve opportunità in chiave di comu­nicazione evangelica. Quindi met­tere in rete le innumerevoli risorse comunicative capillarmente diffu­se in tutto il territorio con l’invidia­bile network cattolico del nostro Paese (Avvenire, Sat2000, inBlu, Sir). Ancora favorire la creatività, specie tra i più giovani, per migliorare la comunicazione ecclesiale. Infine tentare di leggere in termini di re­sponsabilità educativa questa over­dose di possibilità tecnologiche senza pedanterie, ma anche senza pruderie.
 Ne esce, quindi, il volto di una Chie­sa sempre più attiva nel mondo dei nuovi media.
 Sì, non si tratta, però, di trasporre automaticamente la Chiesa sul web, ma di avere sempre più «testimo­ni » capaci di raccontare la vita e dunque la stessa esperienza della fede dentro i gangli della comuni­cazione diffusa.

Matteo Liut