«Ferialità» e «pazienza» sono termini che la dicono lunga sul modo in cui i vescovi intendono il rapporto con i giornalisti sul territorio. La pubblicazione del Messaggio per la Giornata mondiale delle comunicazioni sociali - quest'anno domani - è spesso occasione per dibattiti e incontri, ma non è e non deve essere l'unica, come evidenziano alcuni vescovi-giornalisti. «Il lavoro di tessitura con i media locali diventa formativo di una comunità », sottolinea Giovanni D'Ercole, vescovo di Ascoli Piceno e presidente della Commissione Cei per la cultura e la comunicazione, per il quale è fondamentale che il contatto sia «permanente e non sporadico ». I giornalisti, infatti, «devono anche essere educati al senso ecclesiale in quanto chiamati a intervenire con le loro notizie per creare comunità». Secondo D'Ercole «il dialogo con i media locali permette di sentire l'umore della gente, far arrivare informazioni e creare opinioni». Ciò richiede «tanta pazienza, anche perché nel locale può prevalere il senso del provinciale» e una sorta «di corteggiamento positivo che faccia comprendere la notizia e il modo in cui darla». Del resto, ricorda, «il contenuto è la vita della Chiesa, che si esprime in forme che di volta in volta assumono una rilevanza più o meno marcata».
«È importante avere un rapporto non distante ma distinto, ossia cordiale, capace di fornire dati essenziali, e di chiarire gli elementi attraverso il dialogo», afferma Domenico Pompili, vescovo di Rieti, che parla di «ferialità legata alla vita e a ciò che accade sul territorio».
«Dopo il terremoto le relazioni si sono intensificate: c'è uno scambio fatto di telefonate, incontri, email, che consente ai professionisti di essere informati e di svolgere il loro compito», racconta Pompili sottolineando quanto ciò sia strategico perché «ci si attende dalla Chiesa di sapere quello che fa e quello che pensa» e perché «molta gente conosce della Chiesa ciò che vede in tv, legge sui giornali o sui social». Per il vescovo di Rieti è necessario dunque «esserci», con «serietà e responsabilità», senza farsi scoraggiare dalle fake news, «sempre esistite sebbene si chiamassero diversamente». «Occorre incontrarsi, avendo come obiettivo un bene più grande che va al di là delle persone che ne sono strumento, e che è la verità', evidenzia il vescovo di Lanusei, Antonello Mura, per il quale «il dialogo a due voci» deve puntare a far emergere la verità, senza che essa venga «stravolta, delegittimata, sminuita o ridimensionata». «Quando il fine comune - ribadisce Mura - è la verità di ciò che accade, viene discusso o comunicato, anche il rapporto non può che migliorare».
Serve «un confronto aperto, corretto, non arroccato ma prudente, e per questo bisogna formarsi, riorganizzarsi », soprattutto in un tempo in cui «i social media impongono una circolarità che costringe la Chiesa a mettersi in gioco nel dialogo, ma in cui si è più esposti e si rischia di essere trascinati su terreni dove, data la velocità dell' informazione, non è facile far emergere contenuti approfonditi», gli fa eco il vescovo Claudio Giuliodori, assistente ecclesiastico generale dell' Università Cattolica, per il quale si è di fronte «a un compito bello, affascinante e impegnativo che coinvolge un approccio culturale».
(Stefania Careddu)
da Avvenire del 23 gennaio 2018, pag.26