La pagina in cui Antoine de Saint- Exupéry racconta della volpe, che chiede al Piccolo principe di essere «addomesticata» perché vuole creare dei legami, suona come una provocazione per la web generation. Eppure bisognerebbe ripartire da qui per essere testimoni capaci di comunione, come è emerso nella seconda giornata del convegno dei rettori ed educatori dei Seminari d’Italia sulla formazione dei futuri presbiteri nella società digitale – a Rocca di Papa fino a oggi.
«Occorre educare all’amore vero, al superamento di sé che apre all’amore di Dio e dei fratelli», ha affermato don Alessandro Ravaglioli, psicologo e docente alla Gregoriana, sottolineando che questo significa «approfondire la conoscenza del proprio mondo emotivo-affettivo per poter accogliere l’altro senza strumentalizzarlo e attribuire la giusta dose d’amore a oggetti e situazioni». Non si tratta, ha chiarito, di proporre «una sdolcinata educazione sentimentale », ma di aiutare la persona in Seminario a prendere maggiormente contatto con il proprio mondo interiore, fatto di entusiasmi, delusioni, aspettative, idee e valori. Grazie a tale processo di «auto-appropriazione», ha spiegato, «sarà meno ardua la gestione di inclinazioni e reazioni immediate ». Un percorso che sappia «stimolare l’ortopatia», cioè il corretto sentire, oltre che «purificare le motivazioni, smascherando il bene apparente e le manipolazioni nelle relazioni con gli altri». Tutto ciò, eviden- temente, «ha ricadute fondamentali anche sull’identità sessuale».
In una società mediatica e virtuale, attraente e spersonalizzata, la sfida è quella di imparare a conoscere se stessi e recuperare la dimensione interpersonale. «Partendo dal presupposto che i giovani sono i primi a rendersi conto delle potenzialità e dei rischi del mondo digitale, serve una bonifica delle relazioni che sono spesso schermate», ha auspicato don Raffaele Ponticelli, padre spirituale del Seminario Maggiore di Napoli, intervenendo alla tavola rotonda coordinata da don Nico Dal Molin, direttore del Centro nazionale vocazioni della Cei. «L’uomo del XXI secolo versa in una solitudine spaventosa, più comunica e meno parla», ha osservato il massmediologo Giacomo Coccolini mettendo in guardia dal rischio di «comunicazioni rarefatte». Inoltre, nell’ottica di un ripensamento dei cammini di formazione dei futuri sacerdoti, alla luce dei cambiamenti che viviamo, è quanto mai essenziale «favorire il discernimento comunitario, oltre che rileggere i contesti abitativi e gli spazi architettonici per rendere il Seminario sempre più casa di comunione», ha suggerito monsignor Andrea Caelli, rettore del Seminario di Como.
Senza dimenticare l’importanza di «formare i formatori», mantenendo sempre un atteggiamento critico, ma positivo. Secondo monsignor Domenico Pompili, sottosegretario della Cei e direttore dell’Ufficio nazionale per le comunicazioni sociali, è arrivato infatti il momento di leggere in chiave dialettica la contrapposizione tra virtuale e reale: «virtuale è diverso da attuale, non da reale», ha precisato. «Non si tratta – ha detto – di decidere se accettare i nuovi linguaggi o mettere in atto tattiche di contenimento, ma di interpretarli nel modo più umanizzante possibile». In fondo, il virtuale può trasformarsi in richiamo alla dimensione spirituale. Come ripeteva il Piccolo Principe «l’essenziale è invisibile agli occhi».