La scelta della trasparenza è «la via obbligata da percorrere con coraggio per il bene e la credibilità della Chiesa». In questo cammino, la Sala Stampa della Santa Sede rappresenta «il luogo cruciale dove si sperimenta concretamente ed esistenzialmente tale domanda, oltre ad essere una palestra di linguaggi sempre più accessibili e una vetrina di presentazione delle attività per dare rilievo alle buone notizie». È una consapevolezza che ha il sapore di una dichiarazione di intenti quella espressa da padre Federico Lombardi riguardo al ruolo della Sala Stampa vaticana di cui è direttore dal luglio 2006. La vicenda degli abusi sessuali compiuti da ecclesiastici e le questioni relative all’attività economica del Vaticano sono state «un banco di prova per la crescita della trasparenza», ha commentato Lombardi intervenendo alla tavola rotonda «La nascita e lo sviluppo della Sala Stampa vaticana: dal Concilio ad oggi», promossa dal Master in Giornalismo della Lumsa in collaborazione con l’Ucsi. Se oggi infatti «la Chiesa è all’avanguardia nel valorizzare la libertà di espressione e l’uso dei nuovi media», i recenti eventi hanno mostrato che «l’equilibrio tra trasparenza ed esigenza di riservatezza non è ancora del tutto risolto», ha aggiunto da parte sua Andrea Melodia, presidente dell’Ucsi, dopo il saluto del rettore della Lumsa, Giuseppe Dalla Torre. Di fatto, «dopo il Concilio, quando c’è stata una sorta di festa di nozze tra informazione e Chiesa cattolica, a partire dal ’68 – ha ricordato il direttore dell’Osservatore Romano, Giovanni Maria Vian, dopo un’introduzione dello storico Giuseppe Ignesti – questa luna di miele si è interrotta ed è iniziata una serie di crisi che tuttavia hanno fatto bene allo sforzo mediatico della Santa Sede, accelerando la sua incessante necessità di aggiornamento».
Così, alla morte di Pio XII, l’intuizione di Giovanni Battista Montini, allora giovane sostituto alla Segreteria di Stato, di non lasciare soli i giornalisti che si occupavano dell’informazione religiosa si tradusse nella creazione prima di un piccolo ufficio all’interno dei locali dell’Osservatore Romano e poi della Sala Stampa vera e propria, istituita nel 1966 come evoluzione del servizio che supportava i cronisti delle assise conciliari. «Con il Concilio ci fu una grande svolta da parte del mondo della comunicazione che cominciò a parlare di Chiesa universale e abbandonò i clichés anticlericali», ha osservato Gian Franco Svidercoschi, vaticanista e scrittore che seguì i lavori del Concilio. Insieme a Raniero La Valle, all’epoca direttore de L’Avvenire d’Italia, per il quale «il Concilio era una buona notizia» da dare e che per questo occorreva liberare dal «segreto» che durante la prima sessione aveva vincolato sia chi vi partecipava che i semplici fedeli.
In questi 50 anni, dunque, lo sviluppo delle strutture informative della Santa Sede è stato sempre motivato da quella «volontà di esprimere lo spirito di servizio della Chiesa e non solo le disposizioni di governo » evocata nel ricordo commosso di monsignor Pierfranco Pastore, vice direttore della Sala Stampa fino ai primi anni Ottanta. «Bisognava rispettare il diritto della gente ad essere informata», ha rilevato Joaquin Navarro Valls, celebre portavoce di Giovanni Paolo II sottolineando «l’ampiezza geografica potenzialmente universale» del lavoro della Sala Stampa. Che, ha concluso Gennaro Iasevoli, docente di gestione delle imprese alla Lumsa, ha dimostrato di essere «un’organizzazione vitale, capace cioè di adattarsi alle dinamiche evolutive del contesto».