UFFICIO NAZIONALE PER LE COMUNICAZIONI SOCIALI
DELLA CONFERENZA EPISCOPALE ITALIANA

Una parola riconoscibile nel cortile digitale

Emerge un volto umano dal caos digitale, oppure quel volto ne esce sfigurato, come tradito da un fenomeno che non risponde alle attese autentiche della nostra natura? E dunque, che uso va fatto di mass media onnipresenti, complessi e apparentemente imprescindibili?
17 Maggio 2010
Distinguere gli strumenti del comunicare tra 'vecchi' e 'nuovi' è un modo ormai convenzionale per confrontarsi con il nodo della cultura mediatica che ci avvolge della sua trama impalpabile. Non è più possibile tracciare una netta linea di confine – che non sia strettamente tecnologica – tra mezzi che viaggiano su canali differenti, ma che vanno a costituire nella loro crescente integrazione una 'sfera' comunicativa levigata e compatta dove ciascuno occupa una parte di un tutto pressoché indistinguibile. Il discorso pubblico, nell’era dell’informazione continua, viaggia sulla carta e nell’etere, lungo i cavi telefonici e le fibre ottiche, creando l’effetto complessivo di un flusso ininterrotto che attraversa da un capo all’altro ogni nostra giornata: al suo interno la radio cede la parola al quotidiano, che la passa al sito web, al blog e al social network, a loro volta immersi nell’eco della televisione, in un rimando inesausto di parole, idee, domande. Al centro di questo ambiente composito c’è la persona con la sua fame crescente di informazione e di relazione, alimentata dalla potenza di strumenti con i quali coabitiamo in ogni istante della vita, spesso senza saperne più materialmente fare a meno. È legittimo allora chiedersi se questa capacità senza precedenti di ricevere e trasmettere informazioni vada a beneficio dell’uomo, oppure lo espropri di ciò che lo costituisce più profondamente. In altre parole, emerge un volto umano dal caos digitale, oppure quel volto ne esce sfigurato, come tradito da un fenomeno che non risponde alle attese autentiche della nostra natura?
E dunque, che uso va fatto di mass media onnipresenti, complessi e apparentemente imprescindibili?
È la domanda che, a ben vedere, percorre il messaggio col quale Benedetto XVI ha proposto di affrontare l’odierna Giornata mondiale delle comunicazioni sociali, la 44ª indetta dalla Chiesa. Un testo, è vero, dedicato al «sacerdote e la pastorale nel mondo digitale», ma che – dentro un ragionamento consegnato anzitutto al clero all’interno dell’Anno Sacerdotale – è ricco di spunti anche per tutti i credenti. Ai quali il Papa sembra proporre due parole chiave: opportunità e responsabilità.
Dentro uno sguardo fiducioso verso strumenti che esaltano come non mai la necessità di conoscere e relazionarsi, ai cristiani si propone di guardare alla comunicazione pensandola come occasione per accorciare le distanze col prossimo – con tutto il prossimo – ma conoscendo codici e limiti degli strumenti, che proprio in quanto tali devono servire l’uomo e non travolgerlo. Dunque se «le conquiste tecnologiche sono ormai uno strumento indispensabile», come si legge nel messaggio, è anche vero che proprio per questo «la responsabilità dell’annuncio non solo aumenta ma si fa più impellente e reclama un impegno più motivato ed efficace». Dentro la 'mediasfera' ciascuno è chiamato a essere se stesso, senza più nascondersi dietro avatar o appaltare ad altri il giudizio su quel che accade. Siamo sulla ribalta, consumatori e insieme produttori di parole e immagini: non è mai accaduto in queste proporzioni, e a un apostolo del Vangelo con un briciolo di talento per la comunicazione non dovrebbe sfuggire che qui passa una chiamata nitida. Siamo nel 'cortile dei gentili', ma in questo cortile dell’information society i 'gentili' siamo noi cattolici, dentro un mondo del quale dogmi e liturgie sono scolpiti da altri. Non per questo ci sentiamo estranei, anzi. Una parola ben detta nel vociare indistinto, e anche per mano nostra può accadere l’incontro impensato col Signore della storia. Siamo pronti?
 
da Avvenire del 16 maggio 2010, pag. 2