UFFICIO NAZIONALE PER LE COMUNICAZIONI SOCIALI
DELLA CONFERENZA EPISCOPALE ITALIANA

Uno “strano” silenzio

Sull'importanza del silenzio nella comunicazione, tema della prossima Giornata mondiale delle comunicazioni sociali, il Sir ha raccolto alcune riflessioni di Michele Sorice, docente di sociologia della comunicazione e di comunicazione politica alla "Luiss Guido Carli" di Roma.
6 Ottobre 2011
"Silenzio e Parola: cammino di evangelizzazione". È il tema scelto da Benedetto XVI per la prossima Giornata mondiale delle comunicazioni sociali che si svolgerà il 20 maggio 2012, nella domenica che precede la Pentecoste. Il tema è stato comunicato dalla sala stampa vaticana il 29 settembre; il testo del messaggio, invece, viene tradizionalmente pubblicato il 24 gennaio, nella memoria di san Francesco di Sales, patrono dei giornalisti. A spiegare la scelta del Papa una nota del Pontificio Consiglio delle comunicazioni sociali (Pccs). "La straordinaria abbondanza di stimoli della società della comunicazione - si legge - porta in primo piano un valore che, a prima vista, sembrerebbe addirittura in antitesi ad essa": il silenzio. Questo, "nel pensiero del Papa, non è presentato semplicemente come una forma di contrapposizione a una società caratterizzata dal flusso costante e inarrestabile della comunicazione, bensì come un necessario elemento di integrazione. Il silenzio, infatti, proprio perché favorisce la dimensione del discernimento e dell'approfondimento, può esser visto come un primo grado di accoglienza della parola. Nessun dualismo, quindi, ma la complementarità di due funzioni che, nel loro giusto equilibrio, arricchiscono il valore della comunicazione e la rendono un elemento irrinunciabile al servizio della nuova evangelizzazione". Sull'importanza del silenzio nella comunicazione il Sir ha raccolto alcune riflessioni di Michele Sorice, docente di sociologia della comunicazione e di comunicazione politica alla "Luiss Guido Carli" di Roma.
 
Il tema della Giornata pone in primo piano il valore del silenzio. Cosa ne pensa di questa scelta?
"Mi sembra una scelta solo apparentemente strana; in realtà è assolutamente coerente con il tema dello scorso anno. Al tempo stesso, è innovativa nei toni ma ben presente nella tradizione degli studi sulla comunicazione. Questa, infatti, assume significato sociale e senso condiviso solo in presenza di due aspetti apparentemente contradditori: la similarità e la diversità. Per comunicare ho bisogno che il mio interlocutore sia simile a me, che condivida almeno in parte il mio universo di riferimento e che possa riconoscermi nell'adozione di una grammatica condivisa. Al tempo stesso, però, la relazione ha senso solo se esiste diversità, se cioè la comunicazione può produrre intenzionalmente una crescita cognitiva e magari un cambiamento. Solo grazie al silenzio posso riconoscere i suoni, solo grazie a spazi di discernimento posso usare la ricchezza della comunicazione senza essere travolto dalla ridondanza informativa. Insomma, il silenzio è precondizione affinché la comunicazione sia efficace".
 
È possibile il silenzio in una società "caratterizzata dal flusso costante e inarrestabile della comunicazione"?
"Non solo è possibile ma è necessario. La comunicazione viene spesso sovrapposta al 'rumore' ma è un errore concettuale. In realtà esiste comunicazione solo se si attivano dinamiche al tempo stesso informative e dialogiche. Il 'flusso inarrestabile' non è un male; il male è la sua trasformazione in flusso entropico e caotico. I media, per esempio, possono svolgere importanti funzioni di connessione sociale, conoscenza, partecipazione; ma possono anche essere usati per saturare di rumore lo spazio comunicativo. Non è un caso che la 'propaganda' sia spesso rumorosa o che la ridondanza comunicativa sia usata come tecnica di disinformazione. Spetta alla politica e alla società civile il compito di rivalutare il valore del silenzio, non in contrapposizione alla comunicazione ma in opposizione netta e chiara al rumore".
 
Quali prospettive per educare al valore del silenzio?
"La sfida è educare al senso critico e al discernimento. Il senso critico ha bisogno di spazi di riflessione. Già alla nascita del Romanticismo, Coleridge scriveva nelle 'Lyrical Ballads' che la poesia è 'emotions recollected in tranquillity', che è come dire che ha senso solo se le emozioni si traducono in progetto. Il silenzio non è il fine ma uno strumento importante per educare al valore della progettualità. In altre parole, bisogna educare al senso critico, alla libertà di pensiero: chi è abituato a essere protagonista delle proprie scelte spesso cerca momenti di silenzio. Non è casuale l'immagine che Italo Calvino dava del suo Cavalcanti nelle 'Lezioni Americane': l'intellettuale che si liberava con leggerezza di una folla 'rumorosa e rombante'. Il valore del silenzio è strettamente connesso al valore del senso critico e della libertà della coscienza".
 
Nell'era del web 2.0 è possibile pensare al silenzio come a "un necessario elemento d'integrazione"?
"Naturalmente. L'era del web 2.0 è quella che ci sta insegnando che il confine fra reale e virtuale è una forzatura concettuale. Io sono - o dovrei essere - ciò che sono sia in rete sia fuori di essa, come peraltro papa Benedetto ci ricordava nel messaggio per la Giornata mondiale delle comunicazioni sociali dello scorso anno. Il silenzio e il flusso violento di informazioni sono - o dovrebbero essere - elementi dello stesso processo comunicativo. Un processo unitario, appunto. Oggi il silenzio ci sembra 'difficile' perché siamo ancora troppo assordati dal rumore. Credo che Benedetto XVI voglia invitarci a riconquistare il silenzio proprio per ridare significatività alla comunicazione umana".